Cinque giorni prima dell’intenso diluvio monsonico che ha scatenato vaste inondazioni in tutto il Pakistan, lo scorso luglio, i modelli computerizzati del centro europeo ECMWF fornivano chiare indicazioni sull’entità dei fenomeni. Un nuovo studio scientifico che esamina i dati grezzi elaborati dal Centro di Calcolo, ha confermato che, se le informazioni fossero state elaborate per tempo ed integrate con un modello idrologico della zona, si sarebbe potuto prevedere con estrema accuratezza il disastro con ben 8-10 giorni in anticipo. Le inondazioni del mese di luglio uccisero migliaia di persone e decine di migliaia di bovini, e lasciarono gran parte del Pakistan nel caos.
“La gente non capisce il potere della moderna tecnologia in tema di previsioni meteorologiche”, spiega Peter Webster, professore scienze della terra e dell’atmosfera presso il Georgia Institute of Technology di Atlanta e autore del nuovo studio. “Questo disastro poteva essere ridotto al minimo e anche le inondazioni avrebbero potuto recare pochi danni. Se avessimo collaborato col Pakistan, la autorità locali avrebbero saputo con 8/10 giorni di anticipo che le piogge monsoniche avrebbero potuto inondare vaste aree del Paese”.
Webster e i suoi colleghi hanno presentato i risultati in un articolo pubblicato presso il Geophysical Research Letters, una rivista dell’American Geophysical Union.
L’ECMWF, organizzazione con sede a Londra e che collabora con 33 paesi europei, “non elabora le previsioni e avvisi meteo per il pubblico o per i media”, osserva Anna Ghelli, studiosa presso il Centro di Calcolo. “ECMWF fornisce previsioni numeriche per i membri degli Stati che collaborano ed è loro la responsabilità di preparare le previsioni per il pubblico e consigliare le autorità competenti in materia”.
“Attraverso le nostre elaborazioni notammo che i segnali dell’imminente alluvione comparvero con cinque giorni di anticipo”, sottolinea la Ghelli. Tuttavia, la mancanza di un accordo di cooperazione tra il centro di previsione e il Pakistan ha fatto sì che né il popolo pakistano, né l’agenzia meteorologica del Pakistan, potessero avvalersi di un’allerta preventiva.
Nella loro ricerca, i meteorologi del Georgia Tech hanno utilizzato i dati del Centro europeo per stabilire se le precipitazioni registrate in Pakistan sono state superiori alla media e se l’innalzamento del livello nel fiume Indus sarebbe stato prevedibile. Il risultato mostra che, mentre il totale delle precipitazioni per il 2010 è stato leggermente superiore alla norma, i diluvi del mese di luglio sono stati eccezionalmente rari, con precipitazioni maggiori di 10 volte la media delle precipitazioni monsoniche giornaliere. Interpolando i dati con un modello idrologico, hanno stabilito che le inondazioni si potevano prevedere nel tempo necessario per lanciare l’allerta.
Webster sostiene che l’elaborazione dei dati grezzi e la combinazione con i modelli idrologici è solo una parte della strategia preventiva. Per avere un effetto reale, l’eventuale allerta deve essere diffusa con successo a livello locale.
Nel vicino Bangladesh, Webster ha trascorso cinque anni nella creazione di una tecnica di previsione delle piene e nel pianificare un accordo di collaborazione con il Georgia Institute of Technology, il Centro di Calcolo ECMWF, l’Asian Disaster Preparedness Center e il governo del Bangladesh. In occasione di un evento alluvionale verificatosi alcuni anni fa, la suddetta collaborazione evitò la perdita di migliaia di vite umane e consentì un contenimento dei danni economici.
Tra poche settimane, Webster presiederà a Bangkok una riunione internazionale tra le nazioni in via di sviluppo con l’intento di costruire un accordo per la previsione delle inondazioni in Pakistan. Un sistema di previsione di tal tipo sarebbe costato qualche milione di dollari in fase esecutiva, ma non più di 100.000 dollari l’anno una volta operativa. La speranza è quella di convincere la Banca Mondiale a finanziare il progetto, che attualmente stanzia 1 miliardo di dollari per le procedure di ripristino post-alluvione. Nel frattempo la National Science Foundation ha deciso di finanziare la ricerca.