Ci siamo lasciati, al termine della prima parte, con Andrea (north wind) che commentava i dati pluviometrici dell’ottobre 1992, confrontandoli con quelli del novembre 1966, quando il mix micidiale fu dato dalla contemporaneità, dall’intensità e dall’estensione delle precipitazioni che riguardarono quasi tutto il bacino dell’Arno, dalla tarda mattinata del giorno 3 al primo pomeriggio del giorno 4. Riprendiamo a leggere il suo racconto.
Quel 4 novembre 1966 la portata dell’Arno fu misurata a 3540mc/sec a Nave di Rosano poco a monte di Firenze, stimata a 4100mc/sec a Firenze città. Beh non mi meraviglio che ci fu tutto quel disastro. Purtroppo però mi viene da pensare che se cadesse tutta quella pioggia anche oggi, i risultati probabilmente sarebbero i medesimi del ’66. Il quotidiano “Il Tirreno” del 2 novembre 1992, due giorni dopo l’ultimo scampato pericolo, recitava nel sottotitolo ” E siamo ancora senza difese”. Da allora alcune cose si sono fatte (tante?, poche?), ma chissà perchè quando si parla dell’Arno, i fantasmi sono sempre dietro l’angolo.
Termina qui il racconto di Andrea. E più a valle come andò il 31 ottobre 1992? Un vivido ricordo di quella piena lo ha Luca Bargagna, il nostro Piro del forum, all’epoca studente dell’ultimo anno delle superiori a Pisa.
La paura di una tracimazione a Pisa fu amplificata dal libeccio insistente che impediva al mare di ricevere le acque dell’Arno. In città lungo le spallette misero le paratie metalliche per alzare gli argini. L’acqua dell’Arno era ad un livello superiore rispetto al piano stradale dei Lungarni. In qualche punto c’era qualche fontanazzo, la pressione dell’acqua era tale che dagli argini usciva un po’ di acqua. Chiusero perfino i ponti per qualche ora.
L’Arno tracimò in qualche tratto del Viale D’Annunzio, la strada che unisce Pisa a Boccadarno. La città si salvò grazie anche alla rottura degli argini a monte della città, dove una parte delle acque si riversò in aree golenali disabitate.
Anche Giovanni Staiano, che da pochi mesi si era trasferito da Pisa a Migliarino, ha vissuto quegli eventi e con notevole timore. Nel tardo pomeriggio di quel giorno egli si recò a Pisa e quando vide i fontanazzi, con l’acqua ben sopra il livello stradale, la paura non fu poca, d’altra parte sarebbe stato incoscienza non averne. Quei cordoni di sacchi di sabbia messi a contenere le modeste fuoriuscite d’acqua, sorvegliate dagli uomini dei VV.FF. e della Protezione Civile, facevano tenerezza al pensiero di quanto poco avrebbero potuto se l’argine avesse ceduto per davvero.
Per fortuna però gli argini tennero e la vista al ponte del CEP, con il fiume ingrossato in modo impressionante, l’acqua che aveva invaso tutta la golena e correva turbinosa e carica di detriti verso la non lontana foce, rimase negli occhi a fissare un evento molto significativo, spettacolare ma fortunatamente non catastrofico.