Un “esercito di spalatori” aiutò Genova nei giorni successivi all’alluvione a risollevarsi. In molti casi furono le stesse persone che si operarono per far tornare Firenze alla normalità dopo l’altrettanto tragica alluvione del novembre 1966. Per gentile concessione di Adriano Silingardi https://www.silingardi.it/adriano/genova70-00.htm. Il 9 ottobre la situazione cominciò a migliorare lentamente. Cessate le piogge, salvo qualche residuo scroscio nell’interno, tutti i torrenti rientrarono negli alvei e si cominciò a far la conta dei danni che furono approssimativamente calcolati in oltre 130 miliardi di lire di allora (quando, ricordo, un quotidiano costava 70 lire e con 8-900.000 lire si comprava un’utilitaria). Ingentissime furono purtroppo anche le perdite umane, e senza dubbio alcune, come quelle nei sottopassaggi di Genova e forse anche quelle travolte sui ponti, si sarebbero potute evitare se fosse già esistito all’epoca un servizio di protezione civile a coordinare la situazione e a deliberare per tempo la chiusura delle strutture a rischio. Non ricordo la cifra esatta delle vittime, i quotidiani dei giorni concitati della tragedia davano cifre variabili, come sempre in questi casi, ma mi pare di ricordare che furono oltre 30 (alcune fonti riportano 25 solo a Genova).
Indubbiamente la precipitazione fu eccezionale. Abbiamo detto dei 433 mm in 24 ore in città, ma a Bolzaneto, quartiere periferico sito in Val Polcevera, la locale stazione meteo regionale ne registrò ben 948 e sui crinali vicini, dove le nubi vennero ammassate dallo scirocco, ne caddero probabilmente anche di più. I 948 mm di Bolzaneto sono l’evento precipitativo più intenso mai misurato in Italia nell’arco di una giornata e, probabilmente, il più intenso anche a livello europeo.
Tuttavia vi furono anche colpe, sia come già detto nel coordinamento dell’emergenza, con la mancata chiusura dei sottopassi e dei ponti dei torrenti in piena, sia nella prevenzione, ovvero nel mantenere puliti i letti dei torrenti, seccati dalla lunga siccità nei mesi precedenti l’alluvione e trasformati in una sorta di discarica, come accadde soprattutto a Voltri con il Leira.
E poi c’è il tema dell’abbandono della montagna. Ecco cosa dissero al cronista del “Giorno” alcuni abitanti di Voltri: “Il male è lassù. Guardi quelle colline brulle, spogliate dalla vegetazione, senza piante, tutte bruciate. I contadini hanno abbandonato la montagna, hanno smesso di curare gli alberi, i sentieri, gli argini dei torrenti. E adesso, appena piove a dirotto, il Leira diventa un fiume spaventoso”.
E a leggere oggi il bell’editoriale di Italo Pietra di 32 anni fa si inquadra un Italia ancora meno attenta di oggi al territorio, ancora in euforia da boom economico. Riporto alcuni brani nei capoversi che seguono.
“Le troppo frequenti alluvioni dicono le stesse cose al Nord, al Centro e al Sud. Dicono che la montagna è sempre stata troppo povera e trascurata per non essere un punto debole del nostro paese; dicono che l’alluvione, mal di montagna, discende da decenni di ingiustizia sociale, di privilegi anacronostici, di scelte disastrose.
In casa nostra l’agricoltura ha sempre avuto le condizioni di Cenerentola, di fronte all’industria, fortemente protetta, e nel quadro del mondo agricolo la montagna, naturalmente povera, magra, ha sopportato i sacrifici più duri, a cominciare dai disboscamenti. Così le alte valli, che in Liguria cominciano a pochi chilometri dalla spiaggia, non hanno potuto più reggersi in piedi, non hanno più potuto tenere la terra, l’acqua, gli uomini. Sono così cominciate le frane e le alluvioni, è cominciata la frana delle moltitudini verso le città e le forche caudine della speculazione edilizia che faceva soldi a palate. Così la montagna è rimasta nuda e sola, perché, dovendo scegliere fra i parchi forestali e i parchi automobilistici, non si sono scelti i primi”.
E oggi, 35 anni dopo? Oggi il problema non è la deforestazione, anzi laddove la montagna è stata abbandonata nella corsa alle città negli anni ’50-’60 il bosco ha guadagnato terreno, mangiandosi gli spazi un tempo coltivati intorno alle cascine e sui terrazzamenti. C’è però per la Liguria sempre la grave piaga degli incendi, che oltre a ridurre il patrimonio forestale lasciano il terreno spesso socnvolto, con i resti bruciacchiati delle pinete alla mercè della prima piena, che porta poi rami e tronchi a valle a ostruire i ponti o creare dighe naturali che poi cedono di schianto. Secondo me il problema non è neppure nella presenza di parchi, nazionali o regionali che siano. Il problema è la cura del territorio, del bosco e degli alvei, pur se in un’area come quella genovese il guasto a mio avviso è stato fatto in modo irrimediabile nell’edificazione selvaggia della collina (emblematico proprio il caso del Biscione, citato nella prima parte), riducendo gli spazi dove l’acqua può venire assorbita, per cui essa si precipita lungo le ripide strade.
Infatti sempre sul “Giorno” del 10 ottobre 1970 si leggeva: “Per anni e anni Genova ha puntato sull’edilizia, sono state lottizzate infinite aree a monte, il vecchio piano regolatore consentiva di costruire dappertutto; per permettere alla città di svilupparsi in modo abnorme orizzontalmente e verticalmente è stato interrato il corso del Bisagno, nella Val Polcevera si sono costruite raffinerie sul ciglio della strada, l’alveo dei torrenti è stato ristretto in più punti da impianti sportivi e industriali: sono cose che a un certo punto si pagano”.
Il mio racconto termina qui. Genova purtroppo ha vissuto da allora altre alluvioni, in particolare nell’ottobre del 1977, nel settembre 1992 e 1993, quando già non vi abitavo più da tempo, ma ho voluto raccontarvi quella del ’70 perché noto che, fra le grandi alluvioni d’Italia, tende a essere dimenticata, non essendo per esempio citata in un recente volume di un famoso meteorologo, dove pure si accenna ad eventi meno gravi. Consideratelo anche un omaggio alla città della mia infanzia, città che amo tuttora, a 30 anni da quando l’ho lasciata.
Nel prossimo capitolo racconteremo una concausa poco conosciuta dell’alluvione nella Val Bisagno.
Pubblicato da Giovanni Staiano
Un “esercito di spalatori” aiutò Genova nei giorni successivi all’alluvione a risollevarsi. In molti casi furono le stesse persone che si operarono per far tornare Firenze alla normalità dopo l’altrettanto tragica alluvione del novembre 1966. Per gentile concessione di Adriano Silingardi https://www.silingardi.it/adriano/genova70-00.htm. Il 9 ottobre la situazione cominciò a migliorare lentamente. Cessate le piogge, salvo qualche residuo scroscio nell’interno, tutti i torrenti rientrarono negli alvei e si cominciò a far la conta dei danni che furono approssimativamente calcolati in oltre 130 miliardi di lire di allora (quando, ricordo, un quotidiano costava 70 lire e con 8-900.000 lire si comprava un’utilitaria). Ingentissime furono purtroppo anche le perdite umane, e senza dubbio alcune, come quelle nei sottopassaggi di Genova e forse anche quelle travolte sui ponti, si sarebbero potute evitare se fosse già esistito all’epoca un servizio di protezione civile a coordinare la situazione e a deliberare per tempo la chiusura delle strutture a rischio. Non ricordo la cifra esatta delle vittime, i quotidiani dei giorni concitati della tragedia davano cifre variabili, come sempre in questi casi, ma mi pare di ricordare che furono oltre 30 (alcune fonti riportano 25 solo a Genova). Indubbiamente la precipitazione fu eccezionale. Abbiamo detto dei 433 mm in 24 ore in città, ma a Bolzaneto, quartiere periferico sito in Val Polcevera, la locale stazione meteo regionale ne registrò ben 948 e sui crinali vicini, dove le nubi vennero ammassate dallo scirocco, ne caddero probabilmente anche di più. I 948 mm di Bolzaneto sono l’evento precipitativo più intenso mai misurato in Italia nell’arco di una giornata e, probabilmente, il più intenso anche a livello europeo. Tuttavia vi furono anche colpe, sia come già detto nel coordinamento dell’emergenza, con la mancata chiusura dei sottopassi e dei ponti dei torrenti in piena, sia nella prevenzione, ovvero nel mantenere puliti i letti dei torrenti, seccati dalla lunga siccità nei mesi precedenti l’alluvione e trasformati in una sorta di discarica, come accadde soprattutto a Voltri con il Leira. E poi c’è il tema dell’abbandono della montagna. Ecco cosa dissero al cronista del “Giorno” alcuni abitanti di Voltri: “Il male è lassù. Guardi quelle colline brulle, spogliate dalla vegetazione, senza piante, tutte bruciate. I contadini hanno abbandonato la montagna, hanno smesso di curare gli alberi, i sentieri, gli argini dei torrenti. E adesso, appena piove a dirotto, il Leira diventa un fiume spaventoso”. E a leggere oggi il bell’editoriale di Italo Pietra di 32 anni fa si inquadra un Italia ancora meno attenta di oggi al territorio, ancora in euforia da boom economico. Riporto alcuni brani nei capoversi che seguono. “Le troppo frequenti alluvioni dicono le stesse cose al Nord, al Centro e al Sud. Dicono che la montagna è sempre stata troppo povera e trascurata per non essere un punto debole del nostro paese; dicono che l’alluvione, mal di montagna, discende da decenni di ingiustizia sociale, di privilegi anacronostici, di scelte disastrose. In casa nostra l’agricoltura ha sempre avuto le condizioni di Cenerentola, di fronte all’industria, fortemente protetta, e nel quadro del mondo agricolo la montagna, naturalmente povera, magra, ha sopportato i sacrifici più duri, a cominciare dai disboscamenti. Così le alte valli, che in Liguria cominciano a pochi chilometri dalla spiaggia, non hanno potuto più reggersi in piedi, non hanno più potuto tenere la terra, l’acqua, gli uomini. Sono così cominciate le frane e le alluvioni, è cominciata la frana delle moltitudini verso le città e le forche caudine della speculazione edilizia che faceva soldi a palate. Così la montagna è rimasta nuda e sola, perché, dovendo scegliere fra i parchi forestali e i parchi automobilistici, non si sono scelti i primi”. E oggi, 35 anni dopo? Oggi il problema non è la deforestazione, anzi laddove la montagna è stata abbandonata nella corsa alle città negli anni ’50-’60 il bosco ha guadagnato terreno, mangiandosi gli spazi un tempo coltivati intorno alle cascine e sui terrazzamenti. C’è però per la Liguria sempre la grave piaga degli incendi, che oltre a ridurre il patrimonio forestale lasciano il terreno spesso socnvolto, con i resti bruciacchiati delle pinete alla mercè della prima piena, che porta poi rami e tronchi a valle a ostruire i ponti o creare dighe naturali che poi cedono di schianto. Secondo me il problema non è neppure nella presenza di parchi, nazionali o regionali che siano. Il problema è la cura del territorio, del bosco e degli alvei, pur se in un’area come quella genovese il guasto a mio avviso è stato fatto in modo irrimediabile nell’edificazione selvaggia della collina (emblematico proprio il caso del Biscione, citato nella prima parte), riducendo gli spazi dove l’acqua può venire assorbita, per cui essa si precipita lungo le ripide strade. Infatti sempre sul “Giorno” del 10 ottobre 1970 si leggeva: “Per anni e anni Genova ha puntato sull’edilizia, sono state lottizzate infinite aree a monte, il vecchio piano regolatore consentiva di costruire dappertutto; per permettere alla città di svilupparsi in modo abnorme orizzontalmente e verticalmente è stato interrato il corso del Bisagno, nella Val Polcevera si sono costruite raffinerie sul ciglio della strada, l’alveo dei torrenti è stato ristretto in più punti da impianti sportivi e industriali: sono cose che a un certo punto si pagano”. Il mio racconto termina qui. Genova purtroppo ha vissuto da allora altre alluvioni, in particolare nell’ottobre del 1977, nel settembre 1992 e 1993, quando già non vi abitavo più da tempo, ma ho voluto raccontarvi quella del ’70 perché noto che, fra le grandi alluvioni d’Italia, tende a essere dimenticata, non essendo per esempio citata in un recente volume di un famoso meteorologo, dove pure si accenna ad eventi meno gravi. Consideratelo anche un omaggio alla città della mia infanzia, città che amo tuttora, a 30 anni da quando l’ho lasciata. Nel prossimo capitolo racconteremo una concausa poco conosciuta dell’alluvione nella Val Bisagno. Cerca per tag: meteo clima Pubblicato da Giovanni Staiano Inizio Pagina