In conclusione della prima parte, avevo accennato alla possibilità di integrare, attraverso opportuni strumenti informatici, le variazione climatiche con fattori quali le classi d’uso del suolo, l’esposizione dei versanti e così via.
Ci occuperemo ora, il più semplicemente possibile, del procedimento attraverso il quale si ottengono delle mappe territoriali complesse di semplice lettura.
Dopo aver elaborato una carta con la classificazione del territorio in base agli indici climatici calcolati, occorre reperire quelle che riportano la suddivisione dello stesso attraverso gli altri elementi di rischio.
Avendo a disposizione una buona base cartografica (ad esempio la carta d’uso del suolo, facilmente reperibile in rete, permette una serie di elaborazioni del territorio) è possibile, ricordando le enormi capacità di elaborazione dati possedute da un qualsiasi software GIS, costruirsi autonomamente la banca dati necessaria allo studio che si vuole effettuare.
Solitamente per ogni elemento di rischio si ha a disposizione una mappa che ne rappresenta l’andamento sulla zona oggetto d’analisi. Ecco allora che si parla di carta delle pendenze, carta dell’ esposizione dei versanti, carta dei venti ecc.
E’ importante sottolineare che ogni fattore di rischio viene considerato come una variabile che può assumere maggiore o minore importanza nello sviluppo del processo a seconda dei casi di studio.
Ho volutamente inserito il termine variabile in quanto il passo successivo consiste nell’attribuzione di un peso a ciascuna di esse. Peso che sarà proporzionato all’importanza assunta nell’analisi che si sta effettuando.
Per chiarire meglio il concetto facciamo un semplice esempio: se stiamo analizzando una zona la cui morfologia è prevalentemente pianeggiante e nel contempo risulta elevata la pressione antropica, assegneremo un valore più elevato a quest’ultimo elemento.
I pesi verranno attribuiti in percentuale, vale a dire che se ho quattro variabili, dopo aver assegnato un valore a ciascuna di esse, la somma dovrà darmi necessariamente 100%.
All’interno delle stesse variabili si potrebbe procedere ad un ulteriore suddivisione in classi: nel caso della pendenza potrebbe essere opportuno ad esempio ripartirle a seconda dei gradi o della percentuale riscontrata in diverse aree della stessa regione. Anche in questo caso ad ogni classe si attribuirà un peso in percentuale e la somma delle singole dovrà sempre essere riportata a 100%.
Si è pervenuti così alla costruzione di una banca dati in grado di consentirci l’elaborazione conclusiva. Ciò è possibile attraverso degli strumenti di analisi spaziale avanzata dei GIS, che ci permettono una sorta di “sovrapposizione” delle diverse carte tematiche ottenute in precedenza.
Si arriverà così ad una mappa di facile lettura visiva dove, come si può osservare nell’immagine riportata a lato, ancora una volta il rischio che il fenomeno si verifichi aumenta proporzionalmente alla gradazione del colore letta sulla carta: in questo caso si passa dal verde, al ciano al blu.
Sembra importante sottolineare che la suddetta metodologia è solo una delle tante che potrebbero essere utilizzate in questo tipo di analisi. A tal proposito citiamo il cosiddetto “Progetto Medalus” varato dall’Unione Europea, nel quale la metodologia ESAS applica degli indicatori biofisici e socio-economici nell’individuazione delle aree soggette a rischio desertificazione. Metodologia utilizzata dal S.A.R. (Servizio Agrometeorologico della Sardegna) nello studio pubblicato recentemente relativo al fenomeno in Sardegna.
Abbiamo visto come sia possibile, con dei semplici supporti informatici, studiare dei fenomeni la cui complessità è nota a tutti. Come detto, questa è uno dei tanti procedimenti applicabili e spero sia risultato di facile comprensione, considerando la vastità dell’argomento la cui trattazione richiederebbe libri interi.