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Il Sole in bianco: clima e Minimo di Maunder. Parte III/b: intensità

di Stefano Di Battista
02 Apr 2009 - 07:41
in Senza categoria
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Edmond Halley, dopo aver elaborato un metodo predittivo per le eclissi, diede alle stampe un opuscolo su quello che chiamò il Black day di venerdì 22 aprile 1715 (3 maggio, secondo il calendario gregoriano), quando Inghilterra e Galles avrebbero assistito al totale oscuramento del Sole per la prima volta da più di 500 anni. Durante l'evento, che cadde al termine del Minimo di Maunder propriamente detto, si manifestò la corona solare, di cui venne descritta la struttura (fonte: www.math.yorku.ca)
È sintomatico che la prima descrizione di struttura della corona solare avvenga nel 1715, al termine del Minimo di Maunder propriamente detto. Per il secolo precedente, che con Galileo Galilei (1564-1642) e Christoph Scheiner (1573-1650) inaugurò la moderna ricerca scientifica sul Sole, ci si può domandare perché questo aspetto dell’astro sfuggì; oppure argomentare che ci fosse poco da vedere. Non esistendo il coronografo, l’unica possibilità di osservare la corona solare era data dalle eclissi; il seguente catalogo [Eddy, p. 1198] raccoglie le date degli eventi che riguardarono l’Europa nel 1645-1715 ed elenca i paesi che furono interessati dalla totalità:

8 aprile 1652 Inghilterra
11 agosto 1654 Inghilterra, Germania, Polonia, Russia
30 marzo 1661 Grecia, Turchia, Russia
10 aprile 1679 Irlanda
5 dicembre 1695 Albania, Grecia, Turchia
12 maggio 1706 Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Polonia, Russia
14 settembre 1708 Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia
3 maggio 1715 Irlanda, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Finlandia, Russia

È noto che, nelle fasi di grande attività magnetica, la corona appare all’equatore e ai poli del Sole con spettacolari prominenze di parecchi raggi solari (a), maggiormente presenti nelle aree delle macchie: un fenomeno affascinante e che, durante un’eclissi di Sole, non passa inosservato. In un ulteriore catalogo, assai diverso dal precedente, sono elencati 7 episodi (ma, a un’attenta lettura, ne emergono 8) seguiti dagli astronomi della scuola francese nella seconda metà del XVII secolo, che diedero «valutazioni molto accurate dei contatti e delle durate (della sovrapposizione del disco lunare: ndr)»; tuttavia «in pochi casi è stata fatta qualche specifica menzione della struttura coronale», il che fa ritenere quell’epoca segnata da uno stadio di profonda quiete [Ribes, p. 560]. È significativo che solo con l’eclissi del 12 maggio 1706, cioè oltre la fase più profonda del Minimo di Maunder (nonché nell’anno della scoperta della cromosfera), si cominci a parlare «d’una bianca corona o aureola», il cui aspetto è quello d’un candore uniforme intorno alla Luna [Soon, pp. 88-89]. Ma è appunto nel 1715, in una lettera di Roger Cotes (1682-1716) a Isaac Newton (1643-1727), che «distinte strutture coronali sono descritte come provenienti dal Sole» [Eddy, p. 1198].

Se la lunga quiescenza portò a una quasi assenza della corona, si rafforzano le prove d’una pressoché nulla intensità dei cicli di Schwabe come caratteristica dominante del Minimo di Maunder; ma, dato che l’attività magnetica si esplica in un rapporto direttamente proporzionale con la frequenza delle macchie, è necessario disporre d’un concetto quantitativo atto a misurare questa intensità. A stabilire un’unità di misura in tal senso fu, nel 1848, Rudolf Wolf (1816-’93), attraverso una formula che mette in relazione il conteggio dei gruppi e delle singole macchie con un fattore di correzione dipendente dallo strumento usato per l’osservazione. L’attendibilità di tale formula, conosciuta come numero di Wolf o di Zurigo (RZ: Zürich sunspot number), è stata però messa in discussione nell’indagine delle serie passate, soprattutto perché Wolf, nel 1874, apportò una correzione ai suoi dati, incrementandoli d’un fattore pari a 1,25 per il periodo 1826-’48, e tra 1,2 e 1,5 per gli anni precedenti, probabilmente per tener conto delle nuove stime riguardanti la declinazione magnetica che gli venivano dall’osservatorio di Milano. Ciò ha condotto ai seguenti giudizi circa la ricostruzione storica ottenuta con gli RZ [Hoyt, pp. 2067 e 2069]:
dal 1848 => attendibile
1818-’47 =>buona
1749-1817 => discutibile
prima del 1749 => scarsa

Tali perplessità sono state risolte con una nuova formula, che prende in considerazione solo i gruppi di macchie identificati sul Sole ed è normalizzata da un indice di attività che riproduce molto da vicino gli RZ. A questa formula (RG: Group sunspot number), espressa e compendiata nel 1998, viene riconosciuta una maggiore attendibilità nel «rendere lo scenario dei cicli più remoti, consentendo di discernere il comportamento a lungo termine» [Hathaway, pp. 368-369]. Va precisato che gli RG e gli RZ non sono modalità alternative, poiché i primi rappresentano un perfezionamento dei secondi e, seppur criticabili e ulteriormente migliorabili «sono fortemente consigliati per le analisi dell’attività magnetica (sunspot activity) prima del 1880» [Vaquero, p. 932]. Gli RG hanno permesso di capire che il Minimo di Maunder fu ancora più profondo di quanto non lasciassero supporre gli RZ, e che questa inerzia è tanto più sorprendente e densa di implicazioni climatiche se la si raffronta con la realtà del XX secolo.

Note
(a) Il raggio solare (solar radius), calcolato sul diametro dell’astro, è un’unità di misura pari a circa 695.961 km (432.450 miglia terrestri).

Bibliografia
J.A. EDDY, The Maunder Minimum, in «Science», vol. 192, n. 4245 (1976), pp. 1189-1202.
D.H. HATHAWAY, R.M. WILSON, E.J. REICHMANN, Group Sunspot Numbers: Sunspot Cycle Characteristics, in «Solar Physics», vol. 211, n. 1-2 (2002), pp. 357-370.
D.V. HOYT, K.H. SCHATTEN, E. NESME-RIBES, The one hundredth year of Rudolf Wolf’s death: Do we have the correct reconstruction of solar activity?, in «Geophysical Research Letters», vol. 21, n. 18 (1994), pp. 2067-2070.
J.C. RIBES, E. NESME-RIBES, The solar sunspot cycle in the Maunder minimum AD 1645 to AD 1715, in «Astronomy and Astrophysics», vol. 276, n. 2 (1993), pp. 549-563.
W. SOON, S.H. YASKELL, The Maunder Minimum and the Variable Sun-Earth Connection, Singapore, 2003.
J.M. VAQUERO, Historical sunspot observations: A review, in «Advances in Space Research», vol. 40, n. 7 (2007), pp. 929-941 (doi: 10.1016/j.asr.2007.01.87).

Parte I: https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=19723
/>Parte II/a:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=19769
/>Parte II/b:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=19814
/>Parte III/a:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=19854

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