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Alla vigilia dell’apocalisse – Parte I

di Stefano Di Battista
30 Gen 2007 - 09:27
in Senza categoria
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Immagine fonte www.morguefile.com.
In tema di presunto riscaldamento globale, negli ultimi mesi i mezzi di comunicazione hanno assunto un atteggiamento tendenzialmente acritico, amplificando e strumentalizzando in senso catastrofista ogni evento meteorologico che si distacchi dalla norma. Quale sia questa norma, però, non è quasi mai dato sapere, poiché il giornalista tende spesso a porsi di fronte all’argomento in senso più ideologico che scientifico. Stante i presupposti, la valanga di notizie che annunciano nuovi e più allarmanti scenari di riscaldamento globale (non più ipotizzato, ma dato per certo) rendono necessario provare a vagliare scientificamente alcuni degli elementi messi in gioco, per comprendere quanto di vero ci sia in questo continuo rimbombo mediatico. Tali aspetti riguardano sia il piano della comunicazione che quello del dato geografico e meteoclimatico.

Il 3 settembre 2006 il quotidiano “La Stampa” ha pubblicato un reportage di Gaëlle Dupont da Angmagssalik dal titolo “Groenlandia. Una terra che scotta”. Il primo errore s’incontra dopo le battute introduttive, là dove si afferma che «la Groenlandia è grande come l’Australia»: in verità, il continente australiano (7,7 milioni di chilometri quadrati) è oltre tre volte più esteso della Groenlandia (2,2 milioni). La sottovaluzione d’un dato tanto macroscopico induce a chiedersi quale sia la preparazione del giornalista che intende affrontare un argomento di tale complessità, ossia l’evoluzione climatica di un’area polare e le eventuali ricadute del cosiddetto riscaldamento globale.

In ogni caso, la tesi di Dupont è che «dall’inizio del XX secolo qui [ad Angmagssalik: ndr] è stato misurato un aumento medio di 2 °C, rispetto allo 0,6 °C della media globale». Per dare forza al suo ragionamento, Dupont si sofferma sulla temperatura massima toccata il 13 luglio 2005 ad Angmagssalik: 25,3 °C, che definisce «il record di tutti i tempi». In questo caso va innanzitutto notato come la sintesi giornalistica induca il lettore a credere che tale record abbia superato qualunque valore dall’alba dei secoli; sarebbe stato più corretto, invece, scrivere che si tratta di un record storico, relativizzando quindi la scala temporale dall’avvio delle osservazioni meteorologiche di Angmagssalik, risalenti al 1894 (Petersen, p. 27) e, dal 1958, rilevate a Tasiilaq (65°36′ lat. N, 37°38′ long. O, quota 52 m), principale nucleo abitativo della città (Vaarby Laursen, pp. 8 e 16). Ma c’è un altro dato di cui tenere conto: nell’archivio della stazione, l’identico valore di 25,3 °C si rinviene nel giugno 1942 (Putnins, pp. 93-94). Quello del 2005, quindi, come minimo è un record eguagliato: e sotto il profilo delle condizioni estreme, ciò significa che simili eventi sono già accaduti senza dare luogo agli sconvolgimenti climatici che il reportage vuole proiettare, con frasi a effetto tipo «la gente aveva così caldo che per tutto il giorno non faceva che cercare l’ombra». Tenuto infatti conto che il mese mediamente più caldo registrato ad Angmagssalik è il luglio 1939 con 9,0 °C, il confronto fra le temperature medie di giugno aiuta a comprendere come certe condizioni fossero già state ampiamente sperimentate:
1942 6,2 °C
2005 5,7 °C
Quanto alla media della temperatura annua, se si scompone la serie su base decennale, non è lontano dal vero l’aumento indicato da Dupont dall’inizio del XX secolo (esattamente +1,58 °C); ma, come si può notare dal quadro seguente, mancante dei dati relativi al 1902, 1910-’11, 1924, 1929, 1977 e 1982, l’andamento climatico ha dato luogo a una sorta di ondulazione, che ha raggiunto il suo massimo ben prima del terzo millennio (tra parentesi, la differenza rispetto al decennio precedente):
1895-1904 -2,06 °C
1905-’14 -1,99 °C (+0,07 °C)
1915-’24 -1,71 °C (+0,28 °C)
1925-’34 -0,22 °C (+1,49 °C)
1935-’44 -0,48 °C (-0,26 °C)
1945-’54 -0,49 °C (-0,01 °C)
1955-’64 -0,82 °C (-0,33 °C)
1965-’74 -1,92 °C (-1,10 °C)
1975-’84 -1,78 °C (+0,14 °C)
1985-’94 -1,47 °C (+0,31 °C)
1995-2004 -0,48 °C (+0,99 °C)

Come si accordano l’aumento registrato fino al 1934, il più alto documentato, e la successiva diminuzione, con la teoria del riscaldamento globale?

L’assunto derivante dal dato termometrico si riflette, poi, sul destino della calotta groenlandese: «I recenti studi dicono che ogni anno perde circa 220 chilometri cubici di ghiaccio, che contribuiscono all’innalzamento del livello dell’oceano di 0,6 millimetri ogni anno». Premesso che costruire una previsione valida per un territorio di 2,2 milioni di chilometri quadrati partendo dalla situazione di una cittadina di 5.000 abitanti sulla costa orientale appare quantomeno azzardato, gli studi sul trend termico dell’area costiera groenlandese, comprendenti le osservazioni di otto stazioni meteorologiche nel periodo 1958-2001, tra cui Angmagssalik, hanno rilevato «un importante raffreddamento», pari a -1,29 °C (Hanna, p. 32.1). Anche sugli equilibri del plateau, le ricerche smentiscono Dupont: analizzando i dati satellitari, nel suo complesso la calotta groenlandese risulta in espansione, con un contributo sul livello degli oceani pari a -0,03 mm/anno (Zwally, pp. 521-522). Insomma, la dinamica glaciale della Groenlandia determina un abbassamento del livello degli oceani: l’esatto contrario di quanto prospettato dal reportage della “Stampa”. A scala mondiale, invece, la crescita del livello degli oceani derivante dallo scioglimento delle calotte glaciali è di 0,05 mm/anno con un’incertezza di 0,03 mm/anno (Zwally, p. 522): e qui va notato come il contributo di 0,6 mm/anno, di cui scrive Dupont, rappresenti un ordine di grandezza almeno 10 volte superiore.

Tornando al reportage, resta chiaro che un pezzo di carattere giornalistico, dovendo riepilogare in linguaggio discorsivo concetti complessi, muove dal dato più eclatante e cerca di trarre conclusioni che tengano desta l’attenzione del lettore; Dupont, inoltre, si documenta intervistando vari interlocutori. L’operazione, tuttavia, perde oggettività nel momento in cui si forzano i termini della questione; il box d’appoggio all’articolo, dal titolo “Il «paese del verde» scoperto dai vichinghi dove il mercurio non saliva da tanti secoli”, come si è visto contiene già un’affermazione che i dati smentiscono; ma la prospettiva ideologica arriva a snaturare anche le verità storiche, laddove si dice che Eric il Rosso, raggiungendo le coste della Groenlandia in età alto medievale «scelse questo nome [Groenlandia = Terra Verde: ndr] poco azzeccato». Ampie ricerche sulla colonizzazione vichinga, invece, dimostrano come i secoli IX-XII godessero di un optimum climatico che permise non solo gli insediamenti, ma coltivazioni oggi impensabili, per via del fatto che la temperatura media della fascia costiera era superiore di circa 4 °C a quella del XX secolo e, di conseguenza, i ghiacciai più arretrati (Pinna, pp. 421-422). Il redattore, però, con la sua puntualizzazione su Eric il Rosso, inquina i termini della questione, lasciando intendere che la situazione attuale sia del tutto anomala rispetto a quella che si registrava in passato: un metodo quasi subliminale che, cancellando i dati scientifici e le acquisizioni della storia, tende a dimostrare come il riscaldamento globale sia una certezza che ha già scardinato la normalità climatica.

Bibliografia:
E. HANNA, J. CAPPELEN, Recent cooling in coastal southern Greenland and relation with the North Atlantic Oscillation, in «Geophysical Research Letters», vol. 30, n. 3 (2003), pp. 32.1-32.3 (doi: 10.1029/2002GL015797).
H. PETERSEN, The Danish Meteorological Service in Greenland, in «Arctic», vol. 1, n. 1 (1948), pp. 27-33.
M. PINNA, Climatologia, Torino, 1977.
P. PUTNINS, The Climate of Greenland, in S. ORVIG (a cura di), Climates of the Polar Regions (World Survey of Climatology), Amsterdam, 1970, vol. 14, pp. 3-128.
E. VAARBY LAURSEN, DMI Daily Climate Data Collection 1873-2003, Denmark and Greenland, Copenhagen, 2004.
H.J. ZWALLY, M.B. GIOVINETTO, J. LI, H.G. CORNEJO, M.A. BECKLEY, A.C. BRENNER, J.L. SABA, D. YI, Mass changes of the Greenland and Antarctic ice sheets and shelves and contributions to sea-level rise: 1992-2002, in «Journal of Glaciology», vol. 51, n. 175 (2005), pp. 509-527.

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