Il rapporto tra l’indebolimento del vortice polare e inverni dell’emisfero boreale più freddi non è certo una novità, tuttavia vi sono ancora molti elementi in fase di studio e che interagiscono nella serie di eventi.
Non è un caso se nell’arco del trimestre invernale sentite parlare del Vortice Polare, se in giro per il web vi imbattete in discussioni più o meno scientifiche che trattano l’argomento. Ora abbiamo anche il supporto di un nuovo studio pubblicato recentissimamente dall’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico.
Studio che è stato in grado di ricostruire l’intera evoluzione del Vortice Polare dal 1979 ad oggi, scovando interessanti relazioni tra la figura invernale per antonomasia e l’andamento degli inverni nell’emisfero settentrionale. In particolare ha focalizzato l’attenzione nell’identificazione delle diverse configurazioni atmosferiche ed anche sul rapporto con fenomeni quali El Niño piuttosto che la copertura nevosa in Siberia.
Come ben sappiamo l’indebolimento del Vortice influenza le condizioni atmosferiche superficiali a causa di ondulazioni planetarie più o meno accentuate. Finora era stato dimostrato che il riscaldamento stratosferico – frequente – potrebbe ripercuotersi in troposfera (quindi nei piani inferiori dell’atmosfera) per un periodo di circa due mesi. Questo nuovo studio è andato oltre perché ha studiato le condizioni del vortice polare che ne causano l’indebolimento e si è scoperto che l’accelerazione nel riscaldamento dell’Artico ha un rapporto diretto col freddo invernale localmente epocale che negli ultimi anni ha colpito il nordest degli Stati Uniti, l’Europa settentrionale e l’Asia.
La grande novità di questo lavoro è che in un periodo di 38 anni ha individuato fino a sette configurazioni diverse del Vortice Polare, in funzione della sua posizione e della sua intensità. La prima contempla un Vortice Polare possente, una configurazione che dal 1979 sta perdendo intensità e rilevanza. Al contrario, lo studio ha rilevato come le configurazioni più deboli siano diventando più frequenti.
Il Vortice Polare debole è stato osservato il 72% delle volte sopra il 60°N e ciò si spiega con la diminuzione della frequenza di un Vortice forte (questa prima configurazione si è ridotta della metà) e con l’aumento delle configurazioni deboli (il 140% tra il 1979 e il 2015). Inoltre è stato constatato quel che già sapevamo ovvero che un Vortice Polare forte determina temperature più miti negli Stati Uniti e nell’Eurasia settentrionale, così come temperature più fredde su Alaska e Groenlandia. Idem per il Vortice Polare debole: le temperature scendono sotto le medie nel nord dell’Eurasia, mentre in Canada fa più caldo del solito.
Un altro aspetto interessante è che il rapporto tra la debolezza del Vortice Polare e la temperatura superficiale è molto più forte per l’Eurasia e il nord-est degli della Stati Uniti rispetto alle altre regioni dell’emisfero settentrionale.
Per chi volesse approfondire l’argomento, la ricerca è consultabile a questo LINK