Tutti noi siamo sempre in ansia per avvenimenti atmosferici estremi che, sovente, la natura non riesce a regalarci ogni anno e ogni inverno. Sicuramente il nostro clima, sin dalla fine degli anni ’70 dello scorso secolo è cambiato e sta cambiando in maniera molto disordinata. Eventi estremi, stagioni assolutamente anomale, precipitazioni che si concentrano in zone limitate e con intensità devastante, sono indice sicuro di un clima in continua evoluzione. Una delle cause è attribuibile ai comportamenti umani, con effetti più o meno evidenti, ma non tutto sembra chiaro e collocabile a comportamenti/atteggiamenti di causa/effetto. Molto è attribuibile alle variazioni delle macchie solari che provocano, in periodi più o meno lunghi, delle micro ere interglaciali.
Quasi la totalità degli osservatori atmosferici ritiene ciò come la causa più importante sui processi climatici ad ampio raggio e su scala planetaria. Teoricamente, ed in maniera molto semplice, se viene segnalato in un settore del nostro Pianeta una fase molto fredda o fase marcatamente anomala, non è detto che questo possa essere preso come un segnale certo di un cambiamento climatico, ma solo come una fase che riguarda un territorio e non ha nessun effetto sull’andamento del clima globale.
Teoricamente il futuro medio dei nostri inverni potrebbe essere riassunto nella seguente maniera: Fluttuazioni climatiche, sia positive che negative, molto variabili con fattori persistenti in ampie aree continentali ed alternanze estreme (freddo estremo) localizzate e variabili, sia nella durata, nella intensità e nei relativi effetti.
Insomma un clima che non seguirebbe un processo regolare, ma che si dissocia totalmente dalla media degli inverni passati, comportandosi assolutamente come una variazione a sé stante e che non presenta nessun connotato peculiare rispetto a certi eventi estremi.
La precarietà invernale, suppongo, che sia l’unica regola che possiamo rispettare ed osservare, distintamente, ogni volta che andiamo ad analizzare un qualsiasi e futuro inverno.