EVENTO ECCEZIONALE – Quel che è accaduto nel pomeriggio del 3 maggio appartiene ad una casistica di fenomeni che difficilmente avremmo pensato di vedere e che certamente hanno tempi di ritorno piuttosto lunghi, sebbene negli ultimi decenni certi eventi tendono ad avere una sempre maggiore frequenza: i nubifragi, la grandine ed il tornado nato nel modenese sono stati prodotti da una supercella d’entità davvero estrema, che ha poi figliato diversi nuclei in risalita, associati a più fenomeni vorticosi risaliti nella parte alta dell’Emilia e fin verso il mantovano. Quello che si è osservato è quindi stato un vero e proprio outbreak tornadico, ovvero uno sciame di fenomeni vorticosi (più di un tornado in azione) eccezionalmente raro per l’Italia ed osservato invece nelle grandi pianure degli Stati Uniti. Ricordiamo che una supercella si caratterizza per essere un sistema temporalesco dotato di un significativo moto rotatorio al suo interno, che esalta un intenso updraft rotante (ampia demarcazione rispetto alla parte del downdraft discendente), con correnti ascensionali di tale forza alla base delle enormi grandinate che hanno devastato varie porzioni di territorio.
I PERCHE’ DI TUTTA QUEST’ENERGIA – Anzitutto la configurazione barica presente sull’Italia predispone ad un’atmosfera instabile: ci troviamo infatti dinanzi al cavo ascendente di un’ampia saccatura, che nell’ambito di un flusso sud/occidentale fa incanalare masse d’aria relativamente più fresche e secche in quota, in aspro contrasto con quel che resta dei flussi caldo-umidi richiamati per più giorni dalle latitudini nord-africane. Nel dettaglio, l’evento esplosivo nato in Emilia si è creato anche per fattori prettamente locali, che ha favorito la liberazione improvvisa dell’instabilità: lo sviluppo di un relativo minimo barico ha favorito la convergenza di masse d’aria diverse proprio laddove si è sviluppata la struttura temporalesca. Il relativo scorrimento del flusso umido orientale, richiamato in Val Padana, è andato ad interagire con i venti sud/occidentali che hanno scavalcato l’Appennino apportando aria più secca in quota. Caratteristiche così diverse delle correnti e forzanti orografiche hanno fatto la differenza: la variazione di direzione e d’intensità del vento con la quota hanno rafforzato lo shear favorevole per il mantenimento a lungo della vorticità alle medie-basse quote e dell’alimentazione convettiva.