A ridosso delle coste occidentali degli USA l’Oceano Pacifico è insolitamente caldo. Si tratta di un fenomeno che ricorda le prime fasi della cosiddetta «bolla» (il blob del Pacifico) verificatosi tra il 2014 e il 2016.
Sono fenomeni eccezionali, responsabili di pesanti cambiamenti negli ecosistemi marini e si ritiene che possano causare variazioni sostanziali nelle dinamiche atmosferiche.
La distesa d’acqua insolitamente calda di quest’anno si estende approssimativamente dal Golfo dell’Alaska alla California , fin ad arrivare addirittura alle Hawaii.
Sono considerate delle vere e proprie ondate di calore marino che si verificano quando le temperature della superficie del mare sono più calde del 90 percento delle misurazioni effettuate in un determinato luogo e periodo dell’anno per più di 5 giorni.
L’ondata di caldo del Pacifico nord-orientale del 2019 (NEP19) pare sia stata causata da deboli venti estivi in gran parte del bacino oceanico. Un persistente promontorio di alta pressione sull’Alaska e un’area ciclonica altrettanto anomala tra le Hawaii e la costa occidentale hanno provocato l’indebolimento dei normali venti estivi della regione.
“Se non c’è abbastanza vento sulla superficie oceanica il calore in eccesso non può essere trasferito in atmosfera, né si verifica il rimescolamento dell’acqua superficiale con l’acqua più fredda presente in profondità”, ha spiegato Andrew Leising, oceanografo e ricercatore del Southwest NOAA Fisheries Fisheries Science Center (Jolla, California). “Quindi succede che lo strato superficiale inizia a riscaldarsi.”
Stiamo parlando di una superficie circa sei o sette volte più grande dell’Alaska, che copre oltre 600 mila miglia quadrate. Per avere un riferimento dimensionale, l’Alaska è più grande di Texas, California e Montana messi insieme.