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Ozono, il divieto CFC funziona. Ma con effetti deleteri per il clima

di Ivan Gaddari
28 Feb 2012 - 13:22
in Senza categoria
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Nell'immagine si nota la riduzione di emissioni derivanti dall'utilizzo del Cloro Fluoro Carburi (CFC) e di contro l'aumento delle emissioni derivanti dall'uso dei composti HFC. Fonte immagine UNEP 2011.
Un effetto positivo del divieto nell’utilizzo di questi prodotti è che il clima della Terra ha tratto dei benefici notevoli in quanto i CFC sono da considerarsi potenti gas serra. Tuttavia, un cosiddetto “effetto rebound” rischierebbe di accelerare il tasso di riscaldamento globale.

Gli Idrofluorocarburi (HFC), che sono stati usati negli ultimi anni in quantità crescenti come sostituti dei CFC, hanno un impatto significativo sul clima e molti sono anche estremamente longevi. Sulla rivista Science un team internazionale di ricercatori lancia un monito auspicando una rivisitazione del protocollo di Montreal in modo da regolamentare l’utilizzo di questi composti.

Il Protocollo è stato retificato da 196 paesi e il risultato è che i CFC e le sostanze “ozono killers” scompariranno gradualmente dall’atmosfera nel corso dei prossimi decenni. Poiché molte di queste sostanze sono anche gas serra molto attivi, il clima della Terra trarrà notevoli vantaggi dalla diminuzione delle concentrazioni.

Fin qui, tutto bene. In molti processi in cui sono stati utilizzati precedentemente, i CFC sono stati sostituiti da composti fluorurati noti come HFC (che, in parole povere, sono sostanze simili ma non contengono cloro e non intaccano l’ozono stratosferico). Sono utilizzati come agenti di raffreddamento in impianti di condizionamento e frigoriferi, come propellenti delle bombolette per aerosol, come solventi e come agenti schiumogeni nella fabbricazione di prodotti in schiuma. Tuttavia, c’è un grosso inconveniente nell’utilizzo di queste sostanze: sono dei gas serra molto potenti. Il composto HFC-134a, noto anche come R-134a, per esempio, che è utilizzato negli impianti di condizionamento delle autovetture, è più attivo del biossido di Carbonio (CO2).

La riduzione delle emissioni di gas a effetto serra è regolamentato dal protocollo di Kyoto. Questo accordo è, tuttavia, non vincolante per il più grande produttore mondiale di gas serra, ovvero gli Stati Uniti (che non ha mai ratificato l’accordo), né per la maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, il Protocollo di Kyoto è attualmente limitato al periodo dal 2000 al 2012. Nessun accordo, nella conferenza climatica tenutasi recentemente presso Durban, è stato ancora raggiunto su come prolungarlo. Ciò significa che l’aumento significativo delle emissioni globali di HFC registrato nel corso degli ultimi anni andrà, di questo passo, ad annullare gli effetti positivi sul clima prodotti dell’attuazione del protocollo di Montreal.

E’ quel che emerge da un’analisi effettuata da un team internazionale di ricercatori e pubblicata sull’ultimo numero di “Science”. Team di cui fa parte il premio Nobel per la chimica Mario Molina e il ricercatore dell’Empa Stefan Reimann. L’analisi ha studiato nel dettaglio gli effetti climatici derivanti dall’applicazione del protocollo di Montreal. Dal 2000 il forcing radiativo (una misura degli effetti sul clima delle sostanze chimiche) di tutte le sostanze lesive dell’ozono contenute nei CFC è rimasta ad un valore più o meno costante di 0,32 W/m2 , rispetto ad un valore di 1,5 W/m2 per la CO2 . Se le specifiche contenute nel Protocollo non fossero state attuate, il valore odierno sarebbe raddoppiato raggiungendo 0,65 W/m2. Ciò significa che il divieto di produzione di CFC ha impedito l’immissione in atmosfera di una quantità equivalente di CO2 pari a 10 miliardi di tonnellate, ovvero cinque volte l’obiettivo di riduzione annuale fissato dal Protocollo di Kyoto.

Il Dott.Velders (capo del team internazionale), Reimann e altri autori della ricerca temono che questo effetto positivo sarà presto ridimensionato dalle eccessive emissioni di HFC, che sono attualmente in aumento dal 10 al 15% annuo. Nell’articolo affermano che “il contributo HFC ai cambiamenti climatici può essere visto come un effetto collaterale negativo del Protocollo di Montreal. Al momento l’effetto è ancora trascurabule – pari a circa 0,012 W/m2. Ma è fuor di dubbio che il forcing radiativo derivante dall’utilizzo degli HFC aumenterà in modo significativo in futuro a causa della crescente domanda e della produzione di queste sostanze, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Gli studiosi dell’atmosfera stimano che questo valore salirà tra 0,25 e 0,4 W/m2 entro il 2050. Il problema più grande è dall’emissione di HFC saturi, estremamente stabili e perduranti nell’atmosfera per un periodo fino a 50 anni. Il loro effetto sul riscaldamento globale, a lungo termine, potrebbe risultare fino a 4000 volte superiore rispetto alla CO2 .

Una soluzione “semplice”: ampliare il campo di applicazione del protocollo di Montreal.

Tra le altre cose, gli scienziati raccomandano la modifica del protocollo di Montreal in modo che copra anche l’uso degli HFC. Tali proposte sono già state presentate negli anni precedenti da vari paesi compresi gli Stati Uniti. “Poiché il protocollo di Montreal fa sì che queste sostanze vengano prodotte in quantità crescenti, dovrebbero essere incluse all’interno dell’accordo in modo da regolamentare il loro utilizzo,” dichiara Reimann. Una graduale eliminazione degli HFC è tecnicamente fattibile in quanto, sempre secondo Reimann, alternative non chimiche e tecnologiche sono già disponibili. Negli Stati Uniti, ad esempio, i frigoriferi sono raffreddati con HFC-134a mentre in Svizzera l’uso di questa sostanza nei frigoriferi è vietato e si utilizzano idrocarburi a impatto zero sul clima.

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