L’attuazione della strategia di adattamento, in Italia almeno per quanto riguarda l’uso del territorio, delle coste e per il settore agricoltura, rappresenta attualmente una strada già percorribile, a parte il contributo che può dare tutto il settore agroforestale, alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso l’aumento dei sinks: degli assorbimenti cioè di anidride carbonica atmosferica con imagazzinamento del carbonio sottratto all’atmosfera, nella biomassa vegetale e nel suolo.
D’altra parte, l’adattamento è già una necessità attuale: infatti, problemi di estremizzazione degli eventi meteorologici e delle catastrofi naturali che si stanno ponendo davanti agli occhi in questi ultimi anni, ma che, secondo gli scenari IPCC, diventeranno più acuti negli anni a venire, ci richiamano già ora l’attenzione su due aspetti della questione dell’adattamento:
1) come prevenire e minimizzare il rischio degli eventi disastrosi collegati ai cambiamenti del clima;
2) come predisporre le adeguate azioni di risposta quando questi eventi si verificheranno.
La risposta a queste domande, non può essere né estemporanea, né provenire da una diversa o più efficace gestione delle emergenze, ma sta nell’impostare, in modo radicalmente diverso dal passato, i problemi di sviluppo socio-economico, inclusi i problemi della pianificazione territoriale e dell’uso delle risorse (la risorsa idrica in primo luogo), e i problemi di sviluppo dei settori produttivi, tenendo conto del clima che cambia. La filosofia di base in questo campo è, infatti, quella che, più si pianifica bene e si previene, meno si interviene con le emergenze e con il ripristino.
Le attività di sviluppo socio-economico sono state in passato progettate e dimensionate sul territorio con il presupposto, implicito o esplicito, di condizioni climatiche medie su quel territorio, tenendo conto tutt’al più della “normale” variabilità climatica esistente (incluse le frequenze precedentemente osservate degli eventi estremi), così come la si conosceva dalle vicende del passato. Così facendo si è assunto, consapevolmente o inconsapevolmente, che per il futuro, o almeno per il periodo previsto di esistenza di quella attività, il clima permanesse perfettamente stazionario ed invariato rispetto al passato. Ma, se il clima cambia, ma soprattutto se cambia l’intensità e la frequenza degli eventi estremi, i rischi per la sicurezza di quelle attività e per la loro redditività economica, non solo aumentano, ma talvolta aumentano in modo sproporzionato o imprevedibile.
Per lo sviluppo delle attività economiche sul territorio, questo porta anche a dire che sarà necessario definire e valutare la vulnerabilità ambientale e territoriale delle varie realtà territoriali in modo diverso e dinamico, cioè con l’occhio rivolto al futuro del clima e non al clima del passato. Questo permetterà di definire meglio, non solo la sensibilità o la criticità di questo settore ai cambiamenti del clima, ma anche le capacità di adattamento alle condizioni climatiche future previste da appositi scenari, al fine di individuare i più idonei interventi che, in relazione agli specifici contesti territoriali, possano minimizzare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici e massimizzare le nuove opportunità di sviluppo.
E’ probabile che in molti contesti territoriali le necessità di adattamento e le esigenze di sostenibilità economica, non comporteranno solo dei riaggiustamenti minori per prevenire le perdite o per ripristinare il territorio colpito dalle calamità, ma potrebbero comportare anche interventi tesi a cambiare radicalmente metodi e tecniche di produzione economica o interventi più drastici per cambiare lo stesso uso del territorio.
Se l’entità dei cambiamenti climatici e dei relativi impatti fosse rilevante, non ci sarebbe da meravigliarsi se le analisi di adattamento, su un certo territorio, consigliassero addirittura di abbandonare certe attività produttive per sostituirle con altre economicamente ed ambientalmente più sostenibili nel futuro contesto dei cambiamenti del clima.
Su questi i problemi sarebbe necessario fin d’ora cominciare a discutere, dibattere e individuare le possibili soluzioni per ridurre le emergenze climatiche future e relative conseguenze, e procedere a pianificare più adeguatamente il nostro trritorio del futuro.
Prof. Vincenzo Ferrara, ENEA
Gli altri tre capitoli della relazione
Il clima che cambia e le strategie internazionali dell’ONU: https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=15041
Il clima che cambia in Italia e i problemi che si pongono:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=15058
Rallentare i cambiamenti del clima: la strategia di mitigazione:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=15066