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Lo snobbato fenomeno delle isole di calore urbane

di Redazione Mtg
10 Mag 2007 - 10:50
in Senza categoria
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Ondata di calore del 2003 - Image courtesy of NASA.
In un torrido pomeriggio di quell’Agosto del 2003, intrappolato, per motivi di lavoro, in una rovente Milano, recandomi per una passeggiata al Parco Sempione, fui assolutamente sorpreso da una sensazione di refrigerio che andava ben al di là delle mie aspettative. Quell’ondata di calore causò un incremento della mortalità di circa 35.000 persone su scala europea colpendo sopratutto le popolazioni delle grandi aree urbane del nostro continente.

Anche in assenza di tali episodi eccezionali non è però difficile rendersi conto delle marcate differenze climatiche esistenti tra le città e i loro immediati dintorni.

Considerando che quasi la metà della popolazione mondiale e circa i tre quarti di quella dei paesi sviluppati vivono ormai nelle città, stupisce la scarsa popolarità di cui il fenomeno delle isole di calore urbane (urban heat islands) gode tra i mass media.

Tale fenomeno infatti, oltre a riguardare un’altissima percentuale della popolazione mondiale, determina delle anomalie termiche locali ben superiori rispetto a quelle causate dal più noto global warming. Da non sottovalutare, inoltre, l’effetto sulle precipitazioni con incrementi dell’ordine del 30% nei centri urbani rispetto alle zone periferiche e l’impatto su umidità e ventilazione.

Gli scarti termici positivi risultano notevoli durante la notte (particolarmente nella stagione invernale) mentre si attenuano notevolmente (e in taluni casi si annullano o diventano negativi) nelle ore diurne. Quest’ultimo fenomeno è attribuibile ai moti convettivi generati dall’isola di calore stessa che, rimescolando le masse d’aria, comportano l’afflusso di aria più fresca dagli strati più in alto nonché una convergenza nei bassi strati verso il centro di brezze che spirano dalla periferia.

Date le particolari peculiarità delle aree ad alta intensità urbana le cause del fenomeno delle isole di calore urbane vanno ricercate in un complesso insieme di fattori:

1. le proprietà dei materiali predominanti in termini di conducibilità e capacità termica determinano un maggiore assorbimento di energia solare. Le pareti degli edifici o l’asfalto delle strade possono, ad es., raggiungere, durante la stagione estiva, temperature fino a 90°C e oltre.

2. le caratteristiche orografiche delle città e le proprietà dei materiali predominanti in termini di emissività ed effetto albedo, danno luogo al cosiddetto “effetto canyon”. L’emissione in termini di radiazione infrarossa uscente da parte delle superfici urbane rimbalza su analoghe superfici a causa dell’assetto geometrico delle città, come in un gioco di specchi, rimanendo a lungo intrappolata tra le facciate degli edifici ed il fondo stradale prima di venire rilasciata nell’atmosfera.

3. la progressiva scomparsa dall’ambiente urbano della vegetazione annulla l’effetto dell’evapotraspirazione delle piante, legata quest’ultima alla fotosintesi clorofilliana che implica l’assorbimento da parte delle piante di grandi quantità di energia. In pratica, le foglie colpite dai raggi solari, per poter assumere anidride carbonica dall’atmosfera, cedono acqua all’ambiente circostante sottoforma di vapore. Per tale passaggio di stato dell’acqua le piante necessitano di una notevole quantità di energia che sottraggono all’ambiente circostante.

4. la maggiore concentrazione di fattori inquinanti e in particolare degli aerosol ha un effetto misto e parzialmente mitigante per quanto riguarda il campo termico oltre a determinare un incremento delle precipitazioni e un minore soleggiamento.

5. l’immissione di calore artificiale generato da impianti industriali, impianti di condizionamento e riscaldamento, frigoriferi, mezzi di trasporto e altre fonti di calore aggiuntivo legate, in generale, alle attività antropiche.

6. i processi metabolici degli abitanti (umani e non) implicano un’aggiunta di circa 10-20 Watt per metro quadro e oltre.

In ambito scientifico si tende a considerare il fenomeno delle urban heat islands come avente un impatto irrilevante o di modesta entità sui trend climatici globali.

Tali valutazioni non ci devono però indurre a minimizzare la portata delle trasformazioni climatiche negli ambienti nei quali viviamo imponendoci una diversa pianificazione delle città con una diversa attenzione ai materiali utilizzati includendo “pareti verdi”, giardini pensili e “tetti verdi”.

In un contesto di global warming in cui le estati urbane sono sempre più a rischio, non possiamo permetterci il lusso di ignorare il fatto che una parete inverdita possa avere una temperatura invernale superiore di 5°C e una estiva di 30°C inferiore rispetto a una parete tradizionale, oppure che sempre, una parete inverdita può ridurre la dispersione di calore di un edificio del 38% permettendo un enorme risparmio energetico.

Secondo uno studio dell’Università di Singapore, invece, solo cambiando il colore della facciata dei palazzi da scuro a chiaro la temperatura della stessa può scendere di ben 6°C permettendo un risparmio energetico nelle abitazioni di circa il 9%. Lo stesso studio rilevava, inoltre, l’enorme effetto mitigante esercitato dalla presenza di parchi con differenze della temperatura dell’aria anche di 5°C tra le diverse zone dell’isola di Singapore. Sempre questo studio, infine, rilevava come gli appartamenti situati nelle zone prospicienti i parchi avessero un consumo medio di energia inferiore di circa il 10% data la loro minore necessità di climatizzazione.

Concludendo possiamo dunque affermare che una più attenta pianificazione degli spazi urbani, con il contributo ad es. della bioedilizia, associata all’utilizzo di tecnologie che consentano un maggiore risparmio energetico possa avere potenzialmente enormi effetti mitiganti nell’ordine di grandezza di alcuni gradi ovvero tali, in molti casi, da controbilanciare localmente il trend positivo globale previsto per i prossimi decenni.

Contributo di Andrea Binetti

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