Nato nel 1729 presso Reggio Emilia, il grande scienziato italiano Lazzaro Spallanzani, prese gli ordini religiosi a 33 anni, e divenne insegnante a Modena, poi Direttore del Museo dell’Università di Pavia per quasi trent’anni.
Di grande risonanza furono i suoi studi che dimostrarono l’infondatezza della teoria della “generazione spontanea” della vita, ed i suoi studi sulla circolazione sanguigna, la riproduzione, e, soprattutto, sulla digestione, con la scoperta del succo gastrico.
Ma numerosi furono anche i suoi grandi viaggi, dove l’occhio esperto del naturalista si faceva notare nelle sue accurate descrizioni.
Tra questi, spicca il viaggio compiuto nell’estate del 1788 nella zona vicina al Monte Cimone, percorrendo un’antica via romana che collegava Modena, in Emilia, e Pistoia, in Toscana, attraversando l’Appennino Emiliano tra Ospitale ed il Lago Scaffaiolo (1755 metri di altezza).
Le sue annotazioni sono grande interesse, per la valutazione del clima della zona in quel periodo:
“Io osservava, con grande ammirazione, come la sommità del tronco di alcuni altissimi faggi porta scolpita nella corteccia diversi caratteri.
Seppi dappoi che vi erano stati incisi da alcuni viaggiatori, quando in inverno, passando dal suolo lombardo a quello toscano, la neve arriva a questa altezza, ed essendo gelata in superficie ed indurita, permette l’andarvi sopra senza pericolo di sprofondare”.
Faggi altissimi si trovano nella zona tra i 1300 ed i 1400 metri di altezza, oltre i faggi restano più piccoli, per poi sparire del tutto al di sopra dei 1600 metri di quota.
Ora, sembra, da questa descrizione, che nella zona di media altezza appenninica emiliana, la neve fosse normalmente alta, in ogni inverno, almeno 5-6 metri, quando ad oggi difficilmente vengono superati i 2-3 metri di altezza nelle annate eccezionalmente nevose.
Anche questa è una preziosa testimonianza di una maggiore nevosità appenninica durante la Piccola Età Glaciale, il periodo freddo che è terminato attorno al 1850.
La via appenninica veniva attrezzata anche per il passaggio invernale alle quote più alte: scrive, infatti, lo Spallanzani, che “Dopo la regione dei faggi s’incontra una fila di secchi e lunghi rami di questi alberi, che sono stati ivi conficcati per servire di scorta ai viandanti in tempi di altissime nevi.
Imperocché, restando di esse allora tutto coperto, facilmente potevano smarrire la via che conduce in Toscana, e precipitare in un vicino burrone che chiamano “Il Fosso dei Morti”, per trovarsi talvolta in quel fondo alcuni uomini soffocati dalla neve”.
Ecco, quindi, come le preziose annotazioni da parte di un grande scienziato e naturalista ci offrono sorprendenti descrizioni di un tipo di clima molto più nevoso dell’attuale, alle medie quote appenniniche emiliane.