Quando si sostiene che il ‘vero’ record planetario del caldo siano i 129 °F (53,9 °C) registrati per quattro volte nella Valle della Morte a partire dal 1960, si cade in un doppio malinteso. Il primo riguarda il fatto che, nel mondo, sono documentate varie temperature uguali o superiori, e non si può fare tabula rasa dei precedenti solo perché il riscontro storico non sempre è agevole1. Per rimanere agli Stati Uniti, dall’U.S. Weather Bureau Bulletin si desume un valore di 130 °F (54,4 °C) a Mammoth Tank (California) il 17 agosto 1885, mentre a Volcano Springs (California) sono documentati 129 °F il 23 giugno 1902 [Willson, p. 279]2. Il secondo equivoco sta nell’asserzione che il dato del 10 luglio 1913 sia errato; in realtà esso è discusso, però nessuno ha mai potuto dimostrare che non sia reale, né l’U.S. Weather Bureau l’ha ritrattato. Il meteorologo Gustav Johann Georg Hellmann «pensa che probabilmente dovrebbe essere ridotto a 56 °C (132,8 °F) per tenere conto del riscaldamento del termometro dovuto alla radiazione del suolo, una difficoltà di controllo sempre presente nelle regioni desertiche […] a causa del grado a cui il terreno viene poi riscaldato» [Jefferson, p. 324]: ma si tratta d’una congettura personale, tra l’altro non suffragata da elementi a sostegno; a tal punto, che vi è stata contrapposta l’enfasi circa la cura con cui la capannina di Greenland Ranch era protetta dal calore riflesso dal deserto [Court, p. 217]. E se anche si accettasse la correzione proposta da Hellmann, il valore sarebbe pur sempre superiore a quel 129 °F che si vorrebbe come solo affidabile.
Nel dibattito circa l’eccezionale valore del 10 luglio 1913, non sfuggì la coincidenza del profondo minimo solare (cicli 14/15) che, in quell’estate, toccò il suo acme. Il 9 luglio ebbe termine la più lunga serie spotless storicamente documentata (92 giorni), fatto che indusse questa riflessione: «Dal momento che ogni esplosione di energia solare potrebbe influenzare in contemporanea vaste aree della terra, e poiché nessuna temperatura insolita è stata rilevata altrove, la manifestazione di temperature molto elevate nella Valle della Morte in questo periodo di macchie solari deve essere classificata come fortuita» [Court, p. 217]. Seguendo il ragionamento, colpisce che non si sia invece argomentato al contrario, ovvero sulla singolarità del record di Greenland Ranch, raggiunto durante un periodo spotless tanto pronunciato3. Malgrado studi e analisi però, l’associazione fra andamenti climatici e magnetismo solare non ha ancora raggiunto la sintesi necessaria, per cui ogni tentativo di correlazione non regge a successive, più minuziose indagini. Senza dunque pretendere di dimostrare alcunché, vale la pena segnalare come pure l’estate 2009, caratterizzata dal minimo solare più importante dal 1913, sia stata anomala nella Valle della Morte. Luglio si è chiuso con una media delle massime di 121,3 °F (49,6 °C), poco al di sotto del limite di 121,9 °F (49,9 °C) che si raggiunse nel 1917; si sono inoltre avuti 8 giorni con temperature pari o superiori ai 125 °F (51,7 °C), cosa che non accadeva proprio dal luglio 1913 (10 giorni in quel mese):
16 luglio 125 °F
17 luglio 126 °F
18 luglio 128 °F
19 luglio 126 °F
20 luglio 125 °F
27 luglio 125 °F
28 luglio 125 °F
29 luglio 125 °F
I record toccati nel 1913 a Greenland Ranch (tre volte pari o superiori ai 130 °F) restano senz’altro un unicum, e non è possibile spiegare perché, nei successivi 96 anni di osservazioni, non siano più stati avvicinati. Ma c’è un elemento speculare su cui val la pena riflettere. Nell’archivio del Wester Regional Climate Center la minima più alta nella Valle della Morte (raggiunta in ore notturne, in assenza di radiazione solare) rimonta al 6 agosto 1914, quando il termometro si fermò a 108 °F (42,2 °C); si ebbero poi, il 22 luglio 1917, 105 °F (40,6 °C). Da quell’anno però, non si misurò nessun altro dato notturno oltre i 40 °C: la punta successiva risale infatti al 5 luglio 1970 con 103 °F (39,4 °C). Se poi si considerano le minime assolute, i limiti risalgono all’8 gennaio 1913, quando si toccarono i 15 °F (-9,4 °C), e al giorno successivo (16 °F / -8,9 °C); poi, per rintracciare il valore più prossimo, si deve arrivare al 5 e 7 gennaio 1950 (19 °F / -7,2 °C in entrambe le occasioni). Cos’è accaduto? Perché quelle temperature estreme (minime e massime) non si sono ripetute? È forse mutato il grado di continentalità?
Da quest’ultimo punto di vista si deve ricordare che geograficamente la Valle della Morte, rispetto agli influssi oceanici, è isolata dalla Panamint Range; il suo clima estivo è però soggetto a complesse interazioni col monsone dell’Arizona, la cui evoluzione comporta significativi impatti nell’intera regione del Deserto di Mojave, al punto che «è difficile e rischioso ricostruire un regime pluviometrico da una sola stazione meteo. Tuttavia, sembra che sia in atto una tendenza a lungo termine verso un minor quantitativo di pioggia estiva e un aumento del numero di giorni con pioggia misurabile». Ciò ha determinato la seguente piovosità media [Roof, pp. 1734-1736]:
1911-1960 41 mm
1961-2002 56 mm
È possibile che la Valle della Morte sia stata soggetta a un diverso ciclo climatico nei primi decenni del XX secolo, che ha causato le temperature descritte? E, nel caso, la tendenza verso l’alto dei valori massimi estivi, constatata negli ultimi anni, potrebbe significare la transizione verso un nuovo ciclo? Congetture a cui il futuro potrà, forse, offrire qualche risposta.
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In cerca del caldo record. Parte IV: la Gefara tripolitana
In cerca del caldo record. Parte V: alcol e mercurio
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In cerca del caldo record. Parte II: subsidenza ed effetto föhn
Note
1. La necessità di consultare le fonti è dimostrata dal seguente cortocircuito: i 134 °F rilevati a Greenland Ranch nel 1913 corrispondono a 56,7 °C; alcuni testi arrotondano a 57 °C tout court; questo valore viene ripreso in pubblicazioni successive e convertito nuovamente, giungendo all’erroneo dato di 134,6 °F [Cunningham, p. 531], il che finisce per generare confusione e dare la stura a infondate interpretazioni.
2. A titolo di curiosità si può ricordare anche il Great Santa Barbara Simoon, nebuloso evento del 17 giugno 1859 a Santa Barbara (California), quando la temperatura avrebbe toccato i 133 °F (56,1 °C) a causa di un’intensa corrente riscaldatasi per compressione adiabatica [Wheeler, pp. 22-23]. Il dato non è però ufficialmente riconosciuto.
3. È noto che l’assenza delle macchie solari è associata a una fase di debole attività magnetica, quindi di minor flusso energetico proiettato verso la Terra.
Bibliografia
A. COURT, How Hot is Death Valley?, «The Geographical Review», vol. 39, n. 2 (1949), pp. 214-220.
G. CUNNINGHAM, J. VERNON, Some Extremes of Weather and Climate, «The Journal of Geography», vol. 67, n. 9 (1968), pp. 530-535.
M. JEFFERSON, Limiting Values of Temperature and Rainfall Over the World, «The Geographical Review», vol. 16, n. 2 (1926), pp. 324-326.
S. ROOF, C. CALLAGAN, The Climate of Death Valley, California, «Bulletin of the American Meteorological Society», vol. 84, n. 12 (2003), pp. 1725-1739. Doi: 10.1175/BAMS-84-12-1725.
E.D. WHEELER, R.E. KALLMAN, Shipwrecks, Smugglers and Maritime Mysteries, Ventura, 1984.
G.H. WILLSON, The Hottest Region in the United States, «Monthly Weather Review», vol. 43, n. 6 (1915), pp. 278-280.