Non è facile tracciare la storia dell’unico Ghiacciaio appenninico ora esistente, quello del Calderone, situato sul lato nord del Monte Corno.
Sembra, ma qui il condizionale è d’obbligo, che durante il Medioevo non vi siano state presenze glaciali, sulla zona, e, del resto, il clima caldo medioevale aveva notevolmente ridotto i ghiacciai anche sulle zone alpine, e del resto del Globo.
Sembra che prima del 1400 tale ghiacciaio non esistesse, anche se, ovviamente, in precedenti climi freddi l’anfiteatro glaciale era ben sviluppato; durante le glaciazioni del Quaternario sembra che le lingue glaciali raggiungessero i 1200 metri di quota.
Ma l’irrigidimento improvviso del clima del XV secolo, ben testimoniato dalla lunga sequenza di inverni eccezionalmente rigidi, provocò la ricomparsa di questa grande massa di ghiaccio.
Il ghiacciaio era sicuramente presente, ed in grandi dimensioni, quando venne effettuata la prima ascensione dei quasi 3000 metri di quota del Gran Sasso (2912 metri è l’altezza della Vetta Occidentale).
Tale ascensione ebbe luogo nell’Agosto del 1573, da parte di un antesignano dell’Alpinismo, il Capitano Francesco De Marchi, che salì in vetta alla veneranda età di 69 anni, il quale, dopo averlo visto, lo descrisse come un “vallone lungo un miglio e largo mezzo dove sta neve perpetua”.
Ai primi dell’800 il ghiacciaio era anche ricco di seracchi, e molto più grande di adesso.
Le rilevazioni sistematiche sulla sua grandezza risalgono, però, solamente al 1929, quando già il ritiro moderno era cominciato da decenni.
Sappiamo che tra il 1934 ed il 1960 il Calderone ha perso addirittura 420 mila metri cubi di ghiaccio, e che, nel 1991, al culmine di tre inverni miti e siccitosi consecutivi, sembrò completamente scomparso.
In realtà il ghiaccio fossile era rimasto, ma nascosto dalle tonnellate di pietre che lo ricoprono, e che lo “conservano” dal caldo delle Estati abruzzesi, in grado di raggiungere sovente i +40°C in località come Sulmona ed i +35°C all’Aquila, come accaduto nei giorni scorsi.
Il limite teorico delle nevi perenni, nella zona, è posto attorno ai 3100 metri di altezza, per cui la presenza di un ghiacciaio a quote comprese tra 2680 e 2800 metri, è fortemente anomala, ed è logico aspettarsi una sua prossima sparizione.
Ma non è detto che il ghiacciaio sia in ritirata definitiva, e che la sua scomparsa sia segnata.
Al contrario dei ghiacciai delle Alpi, che vedono il loro minimo pluviometrico in Inverno, e sui quali le nevicate primaverili ed autunnali sono decisive per il loro pieno sviluppo o mantenimento, il ghiacciaio del Calderone “vive” grazie alle grandi nevicate invernali, ed alla sua esposizione a Settentrione, all’ombra delle ripide pareti del Gran Sasso.
Il cambiamento della circolazione invernale che ha provocato le continue siccità sul Nord Ovest della Penisola, ha favorito invece forti precipitazioni nevose sui rilievi abruzzesi, che hanno indubbiamente alimentato il Calderone più che negli anni passati.
Tale linea di tendenza, se confermata nei prossimi anni, potrebbe anche portare al paradosso di un ghiacciaio appenninico in avanzata mentre quelli alpini si ritirano.
E’ un’ipotesi curiosa, che potrebbe verificarsi solo se tali cambiamenti nella direzione di moto delle masse d’aria durante la stagione invernale fossero dovute ad un effettivo mutamento climatico duraturo, ma questo non lo possiamo sapere, almeno nel breve periodo, e potrebbe trattarsi di una semplice oscillazione naturale di breve periodo.