Ogni anno, alla fine di settembre, viene calcolata l’estensione della superficie del ghiaccio che ricopre il Mare Glaciale Artico intorno al Polo Nord, tra la Groenlandia, la Siberia, l’Alaska ed il Canada. Il periodo scelto per studiare le variazioni nella calotta polare artica non è frutto del caso. E’ infatti alla fine di settembre che si possono valutare in maniera più precisa le variazioni subite dai ghiacci in termini di superficie, dopo il periodo di scioglimento estivo.
Ebbene, citando una notizia apparsa sul sito NSIDC News, gli studi in questione hanno dimostrato che a fine settembre 2002 i ghiacci dell’Artico avevano perso il 15% della loro superficie, rispetto ad un valore medio pari a 7.04 milioni di chilometri quadrati. Il 15% in meno rispetto alla media significa che alla nostra calotta polare mancava nel settembre di due anni fa un’area pari alla superficie del Texas o dell’intero Iraq. Questo valore dovrebbe essere il più basso degli ultimi 50 anni almeno!
Ma non è finita qui: infatti, assai spesso, si è visto che ad anni così negativi segue in genere un recupero dei ghiacci in termini di superficie, ma ciò è tutt’altro che avvenuto nel 2003 e nel 2004.
Alla fine di settembre dell’anno scorso la superficie persa dai ghiacci rispetto alla media era pari al 12%! E quest’anno è addirittura scesa ulteriormente, accostandosi al valore percentuale minimo registrato nel 2002!
Sono dati che preoccupano e fanno riflettere. Anche perché alcuni modelli climatici si sono spinti oltre ed hanno calcolato che nel 2070, procendendo di questo passo, l’intera calotta artica si sarà sciolta, scomparendo del tutto dalla faccia della Terra. Proiezioni senza dubbio catastrofiche e da prendere con le pinze, ma comunque per niente rassicuranti perché il trend degli ultimi anni è purtroppo una realtà!
Gli scienziati e i climatologi si stanno ora concentrando sulle cause di un tale fenomeno: il principale imputato è come al solito il riscaldamento antropico del Pianeta dovuto all’effetto serra. Una delle conseguenze dell’effetto serra, per gli studiosi, è proprio la marcata riduzione dei ghiacci artici. Non a caso tra l’ottobre 2003 e quello scorso la temepratura nella bassa troposfera (1000 m. di quota) registrata sopra l’Artico era di 1-2°C superiore alla media, con punte di caldo ancora più elevate in taluni mesi.
Ma ci sarebbero altre cause, forse più incidenti ancora su tale processo: uno studioso della Washington University ha puntato l’indice sull’Artic Oscillation (AO), che ha avuto fasi positive e negative tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’80, ma che è entrata in una fase fortemente positiva tra il 1989 e il 1995. Questa persistenza della fase positiva si è tradotta in uno schema di venti costanti che ha spinto la massa di ghiaccio più vecchia e spessa dall’Artico verso il Nord Atlantico, lasciando parte dell’Artico “scoperta”, ossia alle prese con ghiaccio più giovane e meno resistente alle temperature estive. Sebbene questa fase così positiva sia già rientrata, stiamo scontando i suoi effetti protrattisi nel tempo. C’è però chi afferma che fasi fortemente positive dell’AO, come quella da poco conclusasi, siano in parte favorite dall’effetto serra stesso.
Resta il fatto che, al di là dei catastrofismi, ci troviamo di fronte ad un fenomeno importante e da non sottovalutare, che trova le sue cause in una combinazione di variabili naturali ed effetto serra e che per questo ci rende in parte responsabili di quanto sta accadendo.