Gli autori dello studio ritengono che questo meccanismo sia il responsabile del rallentamento della tendenza al rialzo della temperatura superficiale terrestre osservato negli ultimi dieci anni.
I ricercatori Veronica Reyes, Josh Willis e Bill Patzert, del Jet Propulsion Laboratory della NASA presso Pasadena (California), fanno notare come in entrambi gli oceani esista un particolare livello (tra i 100 e 300 metri di profondità) in grado di accumulare più calore di quanto stabilito da studi precedenti. Non solo.
Per tutto il XX° secolo le concentrazioni di gas serra sono cresciute e le temperature della superficie terrestre ha seguito lo stesso andamento. Da circa un decennio, invece, sembra che la correlazione si stia interrompendo. Nello studio, i ricercatori hanno analizzato i dati ottenuti da una rete globale di circa 3500 sonde, nota come “Argo Network”.
L’Oceano Pacifico è il principale accumulatore di caldo, ma la circolazione oceanica ha fatto si che parte dell’acqua calda sia stata spinta in direzione dell’Oceano Indiano. Dal 2003 è stato osservato come gli alisei e altre componenti climatiche insolitamente forti abbiamo contribuito all’accumulo di calore nello strato di 300 metri di profondità. Soprattutto nel Pacifico occidentale. Il caldo accumulato in questa parte d’oceano si è insinuata nell’Indiano attraverso l’arcipelago indonesiano.
Il movimento delle acque calde del Pacifico occidentale ha sottratto calore dalle acque superficiali dei settori centrali e orientali. Quale conseguenza sono state registrate temperature superficiali insolitamente fredde negli ultimi dieci anni. Poiché la temperatura dell’aria sopra l’oceano è strettamente correlata alla temperatura dell’oceano, questo fornisce una spiegazione plausibile circa la generale diminuzione della temperatura a livello del suolo.
I precedenti tentativi di spiegare la tendenza alla diminuzione della temperatura superficiale globale è stato più in base ai risultati dei modelli climatici o una combinazione di queste osservazioni, che cosa può essere meglio a simulare gli impatti a lungo termine per molti decenni e secoli.
Questo studio si basa su osservazioni in grado di mostrare cambiamenti nel breve termine (10 o 20 anni). Nei brevi periodi di tempo le variazioni naturali, come il recente rallentamento del riscaldamento globale, possono avere impatti climatici regionali molto grandi. Ciò è successo, in tempi moderni, anche negli anni ’40 e fine anni ’70.