Alaska, Europa Centrale, Asia Centrale e Australia del Sud: in queste quattro zone si concentrano le principali anomalie termiche, tutte all’insegna del “più caldo rispetto alla norma”, dell’annata 2004. Ma l’anno passato ha visto molti altri eventi estremi degni di nota, catalogati dalla WMO (World Meteorological Organisation) come “eventi estremi significativi”.
L’Alaska ha vissuto una stagione estiva record, con temperature molto al di sopra della norma. Da maggio ad agosto le anomalie termiche hanno assunto caratteri di persistenza. Tra l’Alaska e lo Yukon vasti territori sono andati letteralmente in fumo: sono bruciati ben 2.6 milioni di ettari di vegetazione.
Un po’ più a sud, tra l’Arizona, lo Utah, il Nevada e parte degli stati limitrofi, è proseguito il periodo siccitoso che interessa ormai da anni queste zone. Una condizione di siccità ancor più grave gli Stati Uniti d’America l’avevano vissuta attorno agli ’20 del XX secolo, quando milioni di persone furono costrette a spostarsi dal Mid West agricolo verso le coste californiane.
Un’altra area del pianeta che sta soffrendo la sete è quella dell’Africa centro-orientale. In Kenya, sud Etiopia e sud Somalia negli ultimi 2 anni è caduto soltanto il 50% della pioggia che normalmente dovrebbe cadere e non meglio è andata alla Cina sud-orientale, dove la siccità del 2004 è stata la peggiore degli ultimi 50 anni. Una siccità ormai di lunga durata non ha smesso di interessare anche l’Australia sud-orientale e l’Afghanistan.
Altrove invece i maggiori problemi sono stati causati da alluvioni e inondazioni: in aprile l’alluvione ha colpito l’area attorno il Rio Escondido, tra Messico e New Mexico, in febbraio la Nuova Zelanda, in settembre la provincia cinese di Sichuan, dove ha causato 196 vittime, mentre tra giugno e ottobre è stata particolarmente attiva la stagione monsonica in Bangladash e nell’India orientale, causando le maggiori inondazioni degli ultimi 15 anni. Inondazioni anche tra Russia e Bielorussia in marzo e maggio, in Angola e Zambia in aprile e maggio e negli stati del nord est del Brasile in gennaio. Un anno 2004 che è risultato alfine essere molto piovoso, ma senza eventi alluvionali degni di nota, anche nei Territori del Nord australiani e in parte del Giappone, qui a causa del notevole numero di tempeste tropicali e tifoni che vi si sono abbattuti.
Sul fronte delle tempeste tropicali il 2004 è stato infatti molto attivo, sia nell’Oceano Pacifico che in quello Atlantico.
Nel Pacifico occidentale si sono avute ben 27 tempeste tropicali, tra cui 19 di queste sono state classificate come tifoni; di questi ben 10 si sono esauriti sulle coste del Giappone, dando origine ad onde fino a 24 metri di altezza.
Il tifone Ma-On è stato il più violento ad aver interessato Tokyo negli ultimi 10 anni; la capitale giapponese ha anche vissuto l’ottobre più piovoso dal 1876.
Tokage è stato invece il tifone più letale ad aver interessato il Giappone dal 1979, avendo causato ben 83 vittime. E sempre in Giappone in agosto il super tifone Chaba ha causato altre 13 vittime.
Rananim ha invece sconvolto la provincia cinese di Zhenjiang causando 164 vittime; il super tifone Nida le Filippine durante il mese di maggio, portando con sé venti sostenuti fino a 260 km/h. Ma sulle Filippine tragico è stato l’effetto di due depressioni tropicali seguite dal tifone Nanmadol, che hanno causato oltre 1000 vittime nell’arcipelago asiatico.
Il ciclone Heta è stato invece il primo ad aver interessato Samoa negli ultimi dieci anni.
Elita e Gafilo sono i due cicloni che hanno interessato il Madagascar: il primo, il più violento degli ultimi 10 anni con venti sostenuti fino a 260 km/h; il secondo meno violento ma capace di causare 29 vittime e decine di migliaia di senza tetto.
Anche in Atlantico la stagione estiva è stata particolarmente ricca di tempeste ed uragani: 15 le tempeste tropicali classificate e nominate, 9 gli uragani, 8 tempeste soltanto nel mese di agosto, il numero più alto per questo mese da quando si rilevano i dati.
Jeanne, l’uragano più disastroso, ha causato 3000 vittime in Haiti, prima di esaurirsi sulle coste della Florida; Ivan ha causato grandi danni a Grenada; Charley è stato l’uragano più potente ad aver interessato le coste degli USA dopo Andrews nel 1992; Frances, ridotto a tempesta extra-tropicale, ha causato gravi inondazioni nella regione dei Monti Appalachi.
Uragani e tempeste tropicali che sono stati anche concausa di un’attivissima stagione dei tornadoes, il cui numero è stato maggiore che in qualsiasi altro anno da quando vengono classificati.
Un raro uragano si è anche abbattuto nello stato di Santa Catarina in Brasile durante il mese di marzo, mentre nell’Est Pacifico l’attività tropicale è stata inferiore alla norma.
Il Sud America si segnala anche come una delle poche zone in cui si sono avute tempeste di neve oltre i canoni di normalità, in particolare in Perù e in Patagonia tra Cile ed Argentina.
L’Europa, settore centrale, si è distinta per le temperature mediamente un grado superiori alle medie storiche, ed una forte ondata di caldo ha interessato tra giugno e luglio la Penisola Iberica.
Nella parte sud orientale del continente, tra Grecia e Turchia, e fino al Vicino Oriente asiatico (Siria, Giordania), l’inverno è stato caratterizzato da tempeste di neve di forte intensità, con accumuli anche fino a 60 cm in Giordania.
Se del caldo sopra norma di Europa, Asia Centrale (qui le temperature sono state tra 2 e 3 gradi sopra la norma annuale), Australia Meridionale e Alaska, abbiamo già detto – ma non dimentichiamo l’ondata di caldo estremo che in India ha causato 100 vittime – solo una zona in tutto il mondo si segnala con temperature abbondantemente sotto la norma, almeno nella stagione estiva: nelle vaste distese di prateria fra USA e Canada (Minnesota, Dakota, Manitoba) la “bella stagione” è stata infatti anomalmente fredda. Una piccola zona in controtendenza rispetto ad un mondo che, stando ai dati che ci forniscono i maggiori enti climatologici mondiali, continua a scaldarsi, fenomeno ormai conosciuto con il termine di Global Warming.
Infine una notizie positiva: il famoso buco dell’ozono antartico si è livemente ridotto. La sua ampiezza, pari a quasi 20 milioni di km quadrati, è risultata nel 2004 inferiore alla media degli ultimi 10 anni.
Fonte delle informazioni: WMO