Abbiamo spesso ribadito, in recenti occasioni, che il destino di una stagione, sia essa di transito o invernale, non può mai essere caratterizzato da veloci nuclei freddi in quota. Innegabile la relativa sebbene marginale influenza. Brusco calo termico e precipitazioni nevose a quote medie, ma tutto viene ricomposto velocemente, velocemente come si era introdotto nell’area Mediterranea.
Il regime di alta, ancora ben saldo nel comparto europeo, riesce a rimarginare ogni lacerazione prodotta da flussi molto freddi che viaggiano in maniera molto casuale nella tropopausa.
Bene, introdotto questo concetto, ora possiamo iniziare a sviluppare un discorso sul futuro atmosferico.
Il titolo dell’editoriale potrebbe fornire già una parziale chiave di lettura, ma non è tutto e potrebbe far intendere altre cose. Stiamo attraversando una fase molto delicata, post avvezione fredda, che potrebbe, come idea generale, rigenerare una forte componente anticiclonica in sede atlantica, contrapponendola, nuovamente, ad una similare situazione barica sul comparto dell’Europa centro orientale.
In questo caso, data la compatezza delle due succitate figure pressorie, si dovrebbe distendere ed aprire un’oscillazione della corda atlantica molto più morbida ed in grado di disegnare, in una media tonalità, delle correnti in quota dal carattere medio alto zonale.
Verrebbe quindi scongiurata una nuova avvezione fredda in direzione della nostra Penisola.
Un ritorno, quindi e sicuramente, a condizioni più calzanti per il periodo in esame ed oscillazione termiche che non presenterebbero dei collassi improvvisi.
V’è tuttavia da considerare che, nonostante la futura affermazione anticiclonica in sede centro europeo, si potrebbero manifestare delle ingerenze fredde, sempre in quota, generanti delle locali depressioni. Quindi , attraverso un margine ampio di respiro osservativo, si potrebbe aprire una media e lunga fase, interrotta da normali periodi interlocutori, di stabilità atmosferica, contrassegnata da periodi raramente piovosi e termicamente nella media.
Non sono certo questi gli indizi che necessitano per comprendere il futuro andamento dell’inverno; anche se esso, in qualche maniera, è ben presente nel DNA del clima mutato.
La ciclicità degli inverni freddi, rispetto a quelli miti, si fa sempre più ibrida e, aspetto preponderante, le precipitazioni, perlomeno nell’ambito mediterraneo, si evidenziano del tutto mal ripartite e mettono in evidenza una certa, più o meno marcata, siccità globale. Carenza di precipitazioni che, al contrario di quanto immaginava l’effetto serra nelle aree più industrializzate, si fanno sempre più sporadiche e localizzate.
Un parametro di importanza assoluta che ben distingue in chiaro un cambiamento climatico. Pur non essendo, dal mio punto di vista, un catastrofista del clima, non posso certo negare che: per avere un inverno freddo (sempre anomalo e difficile) dobbiamo passare per almeno 2 inverni miti.