I commenti dei lettori agiscono spesso nel senso di sollecitare approfondimenti rispetto all’argomento trattato. Così è stato nel caso dell’ultimo aggiornamento riguardante il ciclo solare (10 ottobre), in cui si sono messi a confronto andamenti climatici e attività magnetica. L’articolo si concentrava su due questioni nodali:
a) la variabilità della componente solare può avere effetti sul clima terrestre?
b) nel caso di risposta affermativa, il ciclo solare 24 possiede tali caratteristiche?
Dai commenti, è sintomatico notare un’implicita risposta positiva a entrambe le domande da certe letture unidirezionali degli eventi meteorologici a piccola e grande scala: l’intensità delle teleconnessioni più note, l’estensione del pack e ogni anomalia termica negativa, si configurano infatti come chiari riflessi d’un Sole debole, la cui azione starebbe già condizionando il futuro climatico del Pianeta. Ha destato scalpore la prima volta che fu scritto, ma val la pena ripeterlo: le proiezioni d’un evento simile al Minimo di Maunder sull’andamento delle temperature medie mondiali non comporta necessariamente una diminuzione generalizzata; in particolare, secondo questo modello, la regione compresa tra Groenlandia occidentale, Labrador e Terra di Baffin, vedrebbe un aumento dei valori superiore di 0,5 °C rispetto al dato medio 1995; analogamente l’Oceano Indiano, tra l’Africa meridionale e l’Australia, nonché alcune zone del sud Pacifico; nel Golfo dell’Alaska poi, e fino al Territorio dello Yukon, l’aumento supererebbe 1 °C [Hoyt, p. 182]. Alcuni autori hanno anche notato che il periodo precedente il Minimo di Maunder sarebbe stato altrettanto freddo, cosa che dimostrerebbe come la relazione tra Sole e clima sia infondata [Ibidem, p. 183]. Altre analisi, condotte sui resoconti dei primi viaggi di esplorazione nei mari antartici, farebbero postulare che il pack, alla fine della stagione estiva, fosse confinato 1°-2° di latitudine più a sud rispetto all’estensione 1930-’50; ora, ponendo mente al fatto che quelle navigazioni avvennero nel periodo 1770-1830, ovvero in coincidenza col Minimo di Dalton, nonché al culmine della Piccola età glaciale, la circostanza deve far riflettere [Lamb, pp. 302 e 338]. Sia chiaro: questi elementi non contraddicono la possibilità che la componente solare abbia effetti sul clima; mostrano invece un grado di complessità non facilmente dipanabile, e che dovrebbe quindi invitare alla cautela rispetto al dispiegarsi di ogni situazione. Si potrebbe anzi sostenere che, durante lo svolgersi d’un evento a scala emisferica, allo stato attuale delle conoscenze sia praticamente impossibile risalire alla sua causa primaria, che potrà semmai chiarirsi solo a posteriori. D’altronde, non è forse assodato che le temperature nord atlantiche ed europee subirono una generale diminuzione nel 1940-’75, testimoniata da un’espansione dei ghiacciai alpini, e che ciò avvenne in coincidenza col ciclo 19 (1954-’64), il più intenso storicamente documentato?
Tornando ai commenti cui si faceva riferimento, uno va trattato a sé, data l’autorevolezza dell’estensore. Sono le considerazioni di Fabio Nervegna, collaboratore della rivista di astronomia ‘Coelum’, su cui in più occasioni ha dato conto del ciclo solare in atto. Ha scritto dunque Nervegna nel suo commento: «C’è un’altra questione, di cui finora non [si] è parlato molto: il comportamento del ciclo 24 rispetto ai cicli solari precedenti. Ebbene, ad un anno e mezzo dal minimo (giugno 2010) il sunspot number (nella versione ‘smoothed’, cioè media mobile su più mesi) segnala che l’attuale ciclo 24 è in ritardo rispetto a tutti i cicli degli ultimi 300 anni (cioè quelli di cui esiste una ricostruzione del sunspot number) ad eccezione del ciclo 6, che fa parte del Minimo di Dalton». È una notazione interessante, quella di Nervegna. Disponendo, al 31 ottobre, dell’SSN (Smoothed sunspot number) di aprile, a 16 mesi di distanza dal minimo matematico del dicembre 2008, si dà la seguente tabella di comparazione:
ciclo 24 | dicembre 2008 | SSN 1,7 | aprile 2010 | SSN 13,9 |
ciclo 6 | dicembre 1810 | SSN 0,0 | aprile 1812 | SSN 3,7 |
ciclo 7 | maggio 1823 | SSN 0,1 | settembre 1824 | SSN 8,5 |
ciclo 10 | dicembre 1855 | SSN 3,2 | aprile 1857 | SSN 16,7 |
Può darsi che Nervegna intendesse rifarsi ad altri valori e quindi l’interpretazione non sia univoca; da qui tuttavia, si rileva come il ciclo 24 sia paragonabile al trend iniziale del ciclo 10, che aprì il Minimo di Damon (una fase di debolezza solare, di cui si discute se effettivamente meriti la classificazione di minimo). I due cicli del Minimo di Dalton (quindi anche il ciclo 7) appaiono invece notevolmente più rallentati del presente; e, siccome non sarà mai ripetuto abbastanza, va pure sottolineato che il Minimo di Dalton, a differenza del Minimo di Maunder, non è classificato come una fase di quiescenza solare, bensì come un semplice periodo di attività moderata, che contraddistingue il 70% della vita del Sole [Usoskin, p. 61]. Ecco perché il ciclo 24 non può, nemmeno lontanamente, definirsi eccezionale; allo stato attuale non si discosta da quel 70% di probabilità che gli anni a venire seguano un trend di attività moderata: nulla di più normale del ciclo 24, allora. Eccezionale, semmai, può darsi sia stato il periodo precedente, il Modern grand maximum posteriore al 1933 e terminato (forse) col massimo del ciclo 23 (anno 2000), poiché un evento del genere occupa il 10-15% della vita del Sole. Ma se questa eccezionalità sia stata alla base del tanto discusso riscaldamento globale, nessuno è ancora riuscito a stabilirlo.
Commenti all’articolo di riferimento: www.meteogiornale.it/notizia/18891-1-sole-in-bianco-da-812-giorni
Bibliografia
D. V. Hoyt, K. H. Schatten, The Role of the Sun in Climate Change, New York – Oxford, 1997.
H. H. Lamb, Climate: Present, Past and Future, Londra, 1972, vol. I.
I. G. Usoskin, A History of Solar Activity over Millennia, «Living Reviews in Solar Physics», vol. 5, n. 3 (2008).