Le eruzioni vulcaniche sono in grado di scatenare cambiamenti climatici enormi ed in tempi brevi con un’efficacia che non ha pari in natura.
In pochi mesi possono abbassare le temperature atmosferiche dell’intero globo, scatenando siccità od inondazioni e memorabili ondate di freddo.
La più intensa eruzione vulcanica degli ultimi mille anni si è verificata nel 1815, quando esplose il vulcano Tambora, in Indonesia. Gli anni seguenti furono segnati dalle carestie. Il 1816 sarà ricordato come “l’anno senza estate” nell’emisfero settentrionale, perchè nei mesi estivi sia in Europa che nell’America del nord si verificarono continue alluvioni e le temperature furono così basse e le precipitazioni talmente abbondanti, che in vaste zone il grano non maturò causando gravi carestie.
Nel mio paese, in quegli anni visse una poetessa, Caterina Percoto, che molto scrisse della vita quotidiana di quell’epoca.
Al l’anno successivo al 1816 (il 1817), a causa della carestia derivante dalla disastrosa precedente estate, dedicò un racconto, il cui titolo fa ben capire quali negative conseguenze ebbe l’eruzione del Tambora, avvenuta in effetti quasi nella parte opposta del pianeta rispetto all’Italia. Il racconto si intitola “l’anno della fame”.
Di quel racconto, riporto un brano che parla delle condizioni dei contadini nel Friuli dell’epoca: “nudrivansi di radici di erbe selvatiche raccolte nei prati, e, se veniva lor fatto trovare in qualche recesso una covata di piantaggine (“Plantain”) ancora verde, se la mangiavano allessata così senza sale e senza condimento di sorta. Macinavano i torsi del cinquantino, e quella sterile e scheggiosa farina mescevano a poche di buona, e ne facevano un arido pane insalubre, senza sapore, e piuttosto inganno alla fame che verace nutrimento. Vicino al villaggio fu seminato un campicello a fave; se ne accorsero i meschini che pativano la fame, e tosto a disseppellire, e colle unghie le razzolavano fuori, e in poco di ora fu voltata sottosopra “.
Ma le cronache di quegli anni sono ricolme di episodi legati all’estrema povertà della popolazione.
Riporto due esempi che a mio modo di vedere illustrano bene la situazione.
Una testimonianza, tratta dalle cronache di uno storico di Cervignano del Friuli:
“Si uccisero buoi, asini, cavalli, cani e gatti per sfamarsi, specie in aprile e maggio. In. autunno erano poche le famiglie che avevano bestie per il lavoro della terra. Alcune famiglie cedettero case e campi interi per poche staia di grano e fecero affaroni quelli che ne avevano in serbo”.
Infine, una notizia tratta dalle note storiche del comune di Rovigo:
“anno infausto che sarà ricordato a Rovigno come l’anno della fame e della carestia. Il rovignese Filippo Ferrara viene impiccato per aver rapinato una donna di un pò di frumento che, per l’estrema fame, aveva avidamente mangiato a manate “.
Consideriamo ora alcuni dati climatici. Esiste una serie storica di dati meteorologici di Udine che comprende anche quell’anno.
Nel periodo che va dal 1803 al 1842, proprio l’estate del 1816 fu la più piovosa: nei mesi di giungo, luglio ed agosto caddero 777,6 mm di pioggia, mentre la media per quei tre mesi prevede un totale di 465 mm. Non solo, il 1816 nel complesso fu il terzo anno per ammontare di precipitazioni. Ovviamente l’estate fu eccezionale anche dal punto di vista termico, essendo la più fredda del periodo con una temperatura inferiore di 1,7 c° rispetto alla media climatica.
Questi dati trovano conferma, come già abbiamo riportato, in molte località dell’Europa e dell’America settentrionale.
Conosciamo gli effetti anche di un’altra grande eruzione. Nel 1783 il Laki, un vulcano islandese, eruttò per ben 8 mesi. Nel complesso l’eruzione non raggiunse i livelli del Tambora, ma fu geograficamente molto più vicina all’Italia rispetto al vulcano indonesiano e gli effetti non si fecero attendere. L’inverno del 1784 fu tremendo, uno dei più duri che si ricordino in Europa.
Torniamo ai dati di Udine, che non lasciano dubbi sull’impatto dell’eruzione.
Su 171 anni presi in considerazione, il 1784 risulta nettamente il più nevoso, caddero ben 166,4 centimetri di neve.
Non solo, ma sempre per quantità di neve caduta, troviamo il 1785 al terzo posto, il 1786 all’ottavo posto, il 1787 all’undicesimo posto ed il 1789 al tredicesimo posto. Ben cinque anni fra i sei anni che vanno dal 1784 al 1789 sono fra i primi tredici anni della serie, la firma del vulcano è inequivocabile, come inequivocabile è la testimonianza del famoso scienziato Benjamin Franklin che in quel periodo si trovava a Parigi e descrisse la permanente presenza di una nebbia scura, differente dalla tipica e normale nebbia umida che scompare sotto i raggi del sole: questa era secca e non veniva dissipata dalla luce solare. La stessa luce solare giungeva a terra estremamente debole ed anche in estate faticava a produrre ombre e non era in grado di scaldare il terreno.
Innumerevoli sono gli esempi degli effetti negativi delle eruzioni, ma probabilmente la più importante per la storia per l’uomo è anche una delle meno conosciute.
Infatti nel 535 dopo Cristo, probabilmente ci fu una gigantesca eruzione nel sud-est asiatico, talmente intensa da contribuire agli eventi che cambiarono la storia dell’uomo introducendo il medioevo. Affronteremo le conseguenze climatiche di questo evento nel prossimo articolo.