Sono trascorsi esattamente trent’anni dalla scoperta del buco dell’ozono, presente ogni primavera sopra l’Antartide. Un problema che ha richiesto l’immediata mobilitazione dell’intero Pianeta, attraverso il Protocollo di Montreal nel 1987 che ha posto le premesse per lo stop alle emissioni di clorofluorocarburi (CFC): queste sostanze, una volta raggiunta la stratosfera, si mangiano lo strato d ozono, che poi è lo scudo capace di proteggere la Terra dalle radiazioni nocive. Il buco dell’ozono ha mediamente cessato di crescere da metà degli anni ’90, anche se con fluttuazioni stagionali in parte dovute anche alle temperature molto basse in stratosfera (come accaduto nel 2006).
Ci sarà però ancora da aspettare per la definitiva chiusura del buco dell’ozono, soprattutto a causa del fatto che molte sostanze dannose per l’ozono possono mantenersi in atmosfera per 50, se non addirittura 100 anni. Sulla base delle ultime analisi, gli scienziati della NASA Goddard Space Flight Center ritengono che entro il 2040 la dimensione media del buco dell’ozono sarà costantemente inferiore rispetto a come risulta oggi (quindi ben più piccolo di 8 milioni di miglia quadrate), anche in un annata contraddistinta da temperature molto fredde in stratosfera. Il buco dell’ozono sarà quindi ancora attentamente monitorato e non dovrebbe quindi ricucirsi prima del 2070.