Può sembrare strano, ma è quanto conclude un nuovo studio della NASA. Il buco dell’ozono ha raggiunto il picco l’11 settembre, ricoprendo un’area di circa due volte e mezzo la dimensione degli Stati Uniti (7,6 milioni di chilometri quadrati) per poi diminuire anche per tutto il mese di ottobre. Le misurazioni del NOAA confermano, lo sappiamo, come la perdita d’ozono sia costantemente diminuita dal 1988.
“Il buco dell’ozono antartico è stato eccezionalmente debole quest’anno”, ha dichiarato Paul A.Newman, uno dei principali studiosi del Dipartimento di Scienze della terra presso lo Space Goddard della NASA (Greenbelt, Maryland). “E’ quello che ci aspettavamo, visto le condizioni della stratosfera antartica”.
Il processo di riduzione sarebbe stato fortemente influenzato da un vortice antartico instabile e più caldo (stiamo parlando del sistema stratosferico di bassa pressione che ruota in senso orario sopra l’Antartide). Ciò ha contribuito a ridurre al minimo la formazione di nubi stratosferiche polari negli strati inferiori della stratosfera. La formazione e la persistenza di queste nuvole è importante nei primi passi che conducono alle reazioni che portano alla distruzione dell’ozono, sostengono i ricercatori. Queste condizioni somigliano a quelle che si trovano nell’Artico, dove la distruzione dell’ozono è molto meno accentuata.
Nel 2016 le temperature stratosferiche più elevate hanno inciso sull’andamento del buco dell’ozono. L’anno scorso raggiunse un massimo di 8,9 milioni di miglia quadrate, 2 milioni di miglia quadrate in meno rispetto al 2015. La superficie media dei picchi di ozono giornalieri osservati dal 1991 è stata di circa 10 milioni di miglia quadrate.
Anche se le condizioni atmosferiche stratosferiche più calde della media hanno ridotto la distruzione dell’ozono negli ultimi due anni, la completa risoluzione del problema resta ancora lontana perché la concentrazione atmsferica di sostanze come cloro e bromo restano abbastanza alte. E’ per questo motivo che i ricercatori hanno dichiarato che la riduzione dell’estensione del buco dell’ozono nel 2016 e nel 2017 è dovuta alla variabilità naturale e non a un segnale di rapida guarigione.