Il 18 giugno papa Francesco promulgherà un’enciclica sulla custodia del Creato. Non è la prima volta che il magistero pontificio si occupa di temi ambientali, in linea con l’interrogativo posto dalla Gaudium et spes in chiusura del Concilio Vaticano II, in un’epoca in cui i concetti di ecologia e ambiente appena sfioravano l’opinione pubblica: «Qual è il significato ultimo della attività umana nell’universo?»
Già Paolo VI aveva fatto notare come «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, [l’uomo] rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione» e il tema era emerso in varie occasioni nella riflessione di Giovanni Paolo II.
Più compiutamente, Benedetto XVI ha sottolineato come la responsabilità della Chiesa verso il Creato la porti a «difendere la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione, appartenenti a tutti.»
In parallelo a queste posizioni si è andato sviluppando un pensiero ambientalista di matrice cristiana che, nell’ultimo decennio, si è concentrato anche sul cambiamento climatico. Jürgen Moltmann, teologo protestante molto ascoltato pure in ambito cattolico, è drastico: «Tutto porta a ritenere che il clima della Terra si vada alterando drasticamente a causa dei pesanti interventi dell’uomo. Le calotte glaciali artica e antartica si sciolgono, il livello dell’acqua si innalza, alcune isole scompaiono, aumentano i periodi di siccità, si estendono i deserti e così via.»
La genericità dell’assunto ben si accorda con quel radicalismo ecologista che dà ormai per assodata la teoria dell’effetto serra e gli scenari più cupi a essa associati. Conseguenza pratica di tale movimento d’opinione è il Fossil fuel divestment, nato nelle università americane con lo scopo di colpire le aziende che operano nel campo dell’energia basata sul carbone, il petrolio e il gas naturale. Il Fossil fuel divestment, incentivando una politica di congelamento e uscita dalle partecipazioni azionarie che i fondi pensione e le fondazioni detengono in queste aziende, propugna il concetto per cui le riserve fossili non dovranno essere intaccate, se si vuol contenere il riscaldamento globale entro i 2 °C. A tale movimento, va detto che taluni ambienti cattolici guardano con interesse e simpatia.
Ma l’evolvere del pensiero ecologista, anche se di radice cristiana, di per sé non impegna il magistero della Chiesa. La prossima enciclica dunque, sarà la prima interamente dedicata alla questione ed è indubbio che si soffermerà sul tema del cambiamento climatico, dato che la presentazione ufficiale sarà affidata, tra gli altri, ad Hans Joachim Schellnhuber, del Postdam Institute for Climate Impact Research.
Ma quel che papa Francesco difficilmente farà, sarà di sbilanciarsi a sostegno di qualunque teoria scientifica o posizione ambientalista. Il senso profondo del nuovo documento è, in qualche modo, già rintracciabile nella precedente esortazione apostolica: «Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future generazioni.»
È il saccheggio delle risorse naturali, dovuto a uno sfruttamento che mira solo al profitto, ciò che importa a papa Francesco. Non si tratta di stabilire se abbia ragione l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sui 4 °C medi in più che ci aspetterebbero nel 2100 se non si riducono le emissioni di anidride carbonica, bensì di denunciare i danni globali che un’economia di rapina provoca in vaste aree del Pianeta, abbattendosi sulle popolazioni più povere e inducendole alle migrazioni di massa con cui anche l’Italia è alle prese.
Per fare un esempio, la quasi totale scomparsa del Lago Ciad, dovuta all’indiscriminato sfruttamento delle acque per l’irrigazione, è una catastrofe che sta spingendo migliaia di persone ad abbandonare il Sahel e a riversarsi verso il Mediterraneo.
Una corretta lettura della nuova enciclica quindi, non può avvenire con le lenti dell’ideologia. Sfruttare le parole del Papa per dare credito a questa o quella corrente di pensiero, sarebbe un esercizio disonesto: cosa che tuttavia, c’è da scommettere, purtroppo accadrà.