Momenti di terrore tra il pomeriggio e la sera di ieri (venerdì 7 ottobre), per una frana che si è abbattuta lungo la strada che segna il confine fra due comuni del salernitano, Buccino e San Gregorio. L’acqua ed il fango hanno travolto alcune auto ed in via precauzionale sono stati allontanati una cinquantina di nuclei familiari che occupano le case collocati alle pendici della collina a rischio d’ulteriori frane. L’attenuazione del maltempo ha aiutato quest’oggi l’opera dei soccorsi e le verifiche dei tecnici, che continuano a lavorare per mettere in sicurezza l’intera zona e a liberare le ultime case dal fango e dall’acqua, così da consentire alla popolazione colpita di poter far rapidamente rientro al più presto nelle proprie case.
L’episodio franoso è giunto a seguito di forti piogge cadute in un ristretto lasso di tempo, anche se non sono caduti quantitativi pluviometrici così estremi. Torna così alla ribalta il problema delle frane in Campania e soprattutto nella provincia di Salerno, che già ha pagato un durissimo prezzo nel passato con l’episodio devastante del 5 maggio 1998, che ha lasciato sul terreno paesi fantasma e soprattutto oltre 130 vittime travolte dalla tremenda colata di fango. Ricordi terribili, ma a distanza di 13 anni si può dire che forse ben poco è stato fatto per fare in modo di prevenire in modo significativo il rischio d’ulteriori eventi così nefasti.
Nel salernitano addirittura il 99 per cento dei comuni risulta a rischio frana e alluvioni. Lo ha denunciato la Coldiretti: su un totale di 157 comuni della provincia, ben 111 sono a rischio sia per frane che alluvioni, 38 solo a rischio frane e 8 quelli in pericolo solo per alluvioni. Questa situazione di Salerno e provincia si conferma più grave rispetto alla media nazionale, dove comunque il numero di comuni a rischio idrogeologico è impressionante, in quanto comprende ben il 70% del totale delle aree urbane. Il progressivo abbandono del territorio e il rapido processo di urbanizzazione spesso incontrollata non e’ stato accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque ed e’ necessario intervenire per invertire una tendenza che mette a sempre maggior rischio la sicurezza idrogeologica del Paese.
La cattiva gestione del territorio (al Sud soprattutto non è una novità) rappresenta il fattore primario del verificarsi di frane e dissesti: la colpa è quindi dell’uomo, che ha la pretesa di assecondare in maniera irrazionale la natura e il territorio alle proprie necessità. Le soluzioni al grave problema ci sarebbero se solo si volesse puntare a limitare i danni di questa scellerata gestione del territorio: esistono tecniche di sistemazioni idraulico-forestali che permettono di rendere più stabili i versanti montani, ma anche le aree dei corsi d’acqua. Oltre ai rimboschimenti, ci sono le tecniche di ” inerbimento”(prati erbosi che proteggono in suolo dall’erosione delle acque), le graticciate e le viminate (barriere naturali realizzate tramite varie piante o fasci di legno intrecciati ) realizzate sui versanti per proteggerli dall’erosione.
L’utilizzo di queste metodologie sarebbe già un grosso passo in avanti nell’impossibilità di poter mettere mano ad un vero e proprio piano per la messa in sicurezza del territorio: invece si continua spesso ad intervenire tramite cementificazioni selvagge anche laddove non era necessario alcun tipo di intervento! La prova è rappresentata dallo stato di molti corsi d’acqua, completamente arginati e imbrigliati da opere in cemento che talvolta impediscono l’attuarsi di un normale trasporto dei sedimenti verso il mare che così si accumulano dannosamente sul letto del fiume: nell’arco di pochi anni, a seguito degli eventi naturali,ci si trova di nuovo così punto e a capo ad affrontare nuovi rischi esondazioni.