Per spiegare l’inversione termica bisogna partire da un preciso assunto, ovvero che la temperatura varia normalmente con la quota diminuendo in media di circa 0,5°C – 1°C ogni 100 metri d’altezza a seconda delle caratteristiche della colonna d’aria, che può essere più o meno satura.
In particolari condizioni meteorologiche si possono trovare all’opposto strati d’aria più fredda al di sotto di aria più calda che li sovrasta: in questi casi si parla di inversione termica, proprio in rapporto all’andamento tipico delle temperature che decrescono con l’aumento dell’altitudine.
L’inversione termica si verifica principalmente in corrispondenza degli anticicloni invernali. Si tratta dunque di una situazione che calza a pennello con lo scenario meteo attuale, che vede l’anticiclone sull’Italia con aria molto calda in quota, mentre quella più fresca tende a rimanere intrappolata nei bassi strati.
L’immobilismo dell’aria nei bassi strati che ne deriva, così come l’avvitamento dell’aria verso il basso dovuto all’anticiclone, non fanno altro che esaltare le inversioni termiche. In taluni casi, quindi, la temperatura può risultare più bassa in pianura piuttosto che in montagna, dove si viene a creare un tepore primaverile.
In assoluto, l’area più esposta alle inversioni termiche è quella della Pianura Padana, per la sua particolare conformazione orografica protetta che favorisce ulteriormente il ristagno verso il basso dell’aria più fredda ed umida, da cui si generano le condizioni propizie alle nebbie persistenti.
Al Sud l’inversione termica si verifica più di rado, sia per fattori orografici che per la radiazione solare maggiore rispetto al Nord. Da un punto di vista statistico, l’inversione termica raggiunge la sua massima probabilità proprio a cavallo tra dicembre e gennaio.