L’indebolimento della SAO è stato notato a partire dalla seconda metà degli anni Settanta: si è pertanto proposto di verificare come questo cambiamento nella circolazione atmosferica abbia inciso sul raffreddamento dell’Antartide orientale, segnatamente sul bimestre maggio – giugno, a iniziare dal 1975 (van den Broeke, pp. 184 e 189). Estendendo l’analisi rispetto a questi primi lavori, ad Amundsen-Scott nel 2002 si coglie la discontinuità a cui si è fatto cenno: la SAO potrebbe essere in via di rafforzamento. Tale cambiamento è nelle attese, perché è stato individuato studiando l’andamento climatico della base argentina di Orcadas, che dispone della più lunga serie meteorologica dell’Antartide. La comparazione con le altre stazioni antartiche ha portato a individuare una similitudine nel trend, che per deduzione ha suggerito l’esistenza di due cicli principali di 12 e 29 anni in cui si esplica la dinamica della SAO, con qualche aggiustamento validi per tutto il continente (van den Broeke, pp. 188-189). Era quindi logico supporre, all’inizio del terzo millennio, lo sviluppo di un nuovo ciclo, nella direzione di un incremento delle temperature nell’Antartide orientale pari a circa 1 °K/15 anni: cosa che sembra appunto in essere ad Amundsen-Scott, mentre non appare così delineata a Vostok (anche per via della mancanza di alcuni anni di osservazioni).
Limitando l’indagine alle temperature medie annue del Polo Sud geografico, fra il periodo 1976-2001 e il 2002-2005 si coglie un incremento di 0,66 °K. Scomponendo il 1976-2001 in due sottoperiodi di 13 anni ciascuno, si nota come la fase di maggior raffreddamento si sia realizzata nel 1989-2001: -0,38 °K rispetto al 1976-1988. La risalita del periodo 2002-2005 quindi, se messa a confronto con la fase di massimo raffreddamento, appare ancora più sorprendente: 0,85 °K in soli tre anni completi. Forse episodici nella loro ampiezza, tuttavia significativi di qualcosa che potrebbe essere in parentesi evolutiva.
Passando all’esame delle temperature medie mensili, il grafico che raffronta i tre sottoperiodi mette in mostra la straordinaria forbice nell’andamento termico di aprile, che raggiunge i +7,44 °K, e la forte discesa di giugno, pari a -4,87 °K. Ciò che ad Amundsen-Scott però non torna, rispetto ai parametri che spiegano la SAO, è il riscaldamento riguardante il trimestre marzo – maggio, mentre il raffreddamento contraddistingue il bimestre giugno – luglio. In effetti, una semplice valutazione empirica permette di constatare come, dei cinque episodi storici più freddi di aprile, tre cadano nel sottoperiodo 1989-2001:
1998 -62,6 °C
1958 -62,1 °C
2000 -61,8 °C
1964 -61,3 °C
1999 -61,1 °C
Tra i cinque analoghi episodi di giugno, il più freddo appartiene al periodo 2002-2005:
2003 -64,4 °C
1984 -63,9 °C
1986 -62,8 °C
1989 -62,5 °C
1975 -62,2 °C
Ma se si estende questa lettura anche a luglio, sono già due i mesi da primato archiviati nel periodo 2002-2005:
2004 -67,0 °C
1965 -64,4 °C
1969 -64,2 °C
2003 -64,1 °C
1983 -64,0 °C
È perciò lecito domandarsi se l’evoluzione climatica in atto ad Amundsen-Scott non debba ancora esplicare appieno i suoi effetti, che potrebbero andare nella direzione di un trimestre centrale dell’inverno (giugno – agosto) più freddo, in un quadro di complessivo riscaldamento annuale.
Bibliografia:
M.R. VAN DEN BROEKE, The semi-annual oscillation and Antarctic climate. Part 2: recent changes, in «Antarctic Science», vol. 10, n. 2 (1998), pp. 184-191.
Sulla base di Orcadas:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=10546