In concomitanza col 31° anniversario della firma del protocollo di Montreal, i dati provenienti dall’Antartide sono molto buoni. La crescita del buco dell’ozono non si è soltanto arrestata, come scoperto anni or sono, ma si comincia a vedere un recupero significativo.
Non v’è dubbio che il trattato di Montreal sia servito a moltiplicare gli sforzi nel cercare di ridurre la produzione di gas CFC e in qualche modo anche le emissioni di gas di effetto serra. Non è un caso, quindi, se il buco dell’ozono ha raggiunto la più piccola dimensione da 29 anni a questa parte.
Gli ultimi dati raccolti sull’estensione e la densità dello strato di ozono in Antartide sono molto positivi. Quest’anno ha una superficie di 19,6 milioni di km2, una cifra che non si vedeva dal 1988. La graduale scomparsa del buco dell’ozono, secondo gli studiosi, è dovuta principalmente al fatto che circa il 99% delle sostanze che innescano la distruzione dell’ozono come i CFC (Clorofluorocarburi ) non vengono più rilasciati in atmosfera.
Non solo, ogni anno si verificano una serie di condizioni atmosferiche che determinano una maggiore o minore diminuzione dello strato di ozono. Un esempio in tal senso viene dal 2002, quando il vortice polare si divise in due lobi e rese possibile una minore distruzione dell’ozono.
Quest’anno, le temperature nella stratosfera antartica durante il mese di settembre sono state insolitamente calde per via dei forti disturbi delle onde troposferiche. Questo fattore ha contribuito a ridurre la distruzione dell’ozono durante l’inverno antartico. Per la comunità scientifica i dati del 2017 risultano particolarmente incoraggianti, anche rispetto al 2016: il buco dell’ozono aveva una superficie di 22,4 milioni di km2, mentre l’anno scorso era pari a 29,6 milioni di km2.
Gli effetti sul clima interessano principalmente l’emisfero australe: la maggior presenza di ozono migliora il raffreddamento della stratosfera inferiore, che a sua volta provoca cambiamenti nella circolazione generale con conseguenti effetti sulla temperatura superficiale, sulle precipitazioni e sulle temperature oceaniche. Nell’emisfero boreale, invece, dove la perdita d’ozono è più bassa, non c’è una stretta correlazione col tempo troposferico.