Partiamo dal presupposto che si tratta di un ciclone, di un’area ciclonica, di una struttura ciclonica. Ma non tutte le strutture cicloniche, questo è ovvio, sono paragonabili ai temibilissimi uragani. Eppure, ormai lo avrete capito da tempo, anche nel Mediterraneo possono crearsi le condizioni per lo sviluppo di ciclonici dalle caratteristiche simili a quelle degli uragani. Da qui il nome di “uragano mediterraneo” o “medicane“.
Come suggerisce il nome stesso, si tratta di cicloni mediterranei che acquisiscono in misura maggiore o minore caratteristiche tropicali, arrivando così ad assomigliare nei processi termodinamici di intensificazione e sviluppo ai cicloni tropicali che si formano nei grandi oceani.
La somiglianza è davvero strabiliante, difatti è facile osservare la banda di nubi convettive che si avvitano attorno al cosiddetto “occhio del ciclone” (riconoscibile dall’assenza di nubi). Il nucleo principale è caldo e di solito i venti più intensi si concentrano in prossimità del centro.
Nelle tempeste extratropicali, visto che spesso sentite parlare anche di queste strutture, il nucleo è freddo e i venti, oltre ad essere asimmetrici rispetto al suo centro, si allontanano dal centro.
Si tratta di sistemi di bassa pressione di natura totalmente diversa, sebbene in molti casi non vi siano confini netti e possano presentarsi vari gradi di ibridazione. Un esempio è rappresentato dai cicloni subtropicali, che condividono le caratteristiche delle tempeste extratropicali e dei cicloni tropicali.
Altro elemento importante da sottolineare: i cicloni mediterranei dimostrano ancora una volta che la superficie marina non deve essere necessariamente particolarmente calda. È sufficiente che altri ingredienti si bilancino correttamente, ad esempio atmosfera molto umida e instabile, con un basso wind share.
Il processo che ha generato il ciclone mediterraneo è molto simile alle transizioni tropicali o subtropicali che si verificano nell’Atlantico, tra i casi più recenti ricordiamo Pablo o Rebekah.