Il 6 febbraio, in una stazione meteorologica collocata nella città di Esperanza, in Argentina (sulla punta settentrionale della penisola antartica), la temperatura superava quota 18°C sgretolando tutti i record precedenti. Un’ondata di calore che non poteva non avere effetti sulla copertura nevosa e sui ghiacciai antartici.
Il periodo di caldo anomalo iniziò il 5 febbraio e si protrasse fino al 13 febbraio. Le immagini satellitari scattate il 4 e successivamente il 13 febbraio mostrano gli effetti di cui sopra, ovvero la fusione della calotta di ghiaccio su Eagle Island. Semmai ce ne fosse bisogno, le conferme sono arrivare anche dalle mappe termiche del 9 febbraio, che mostrano temperature nell’area superiori a 10 gradi.
Il glaciologo Mauri Pelto, del Nichols College nel Massachusetts, ha studiato attentamente il fenomeno. Secondo le osservazioni effettuate, nel giro di pochi giorni circa 1,5 chilometri quadrati di neve, vale a dire una superficie di neve dura e ghiaccio formatasi nell’arco dell’anno, era imbevuta di acqua (segnatala in blu sulle immagini satellitari). Secondo i modelli, circa il 20 percento della copertura nevosa stagionale è andata persa.
“Non ho mai visto un aumento così rapido dell’acqua di fusione in Antartide. Tali processi sono visibili in Alaska e Groenlandia, ma non qui”, ha spiegato Pelto.
Altri episodi di caldo anomalo, ma non paragonabili all’ultimo, furono registrati a gennaio 2020 e novembre 2019.
“L’episodio di febbraio non è significativo in termini assoluti, al di là dei record. Ancora più importante è che le ondate di calore stanno comparendo sempre più spesso”, ha affermato Rajashree Tri Datt, ricercatore presso il Goddard Space Flight Center della NASA.