La popolazione dell’arcipelago delle Vanuatu, nel Pacifico, ha passato tra sabato 14 e domenica 15 marzo la seconda notte nei rifugi, la prima per sfuggire alla furia del ciclone Pam, che ha ucciso un numero imprecisato di persone e devastato una grande quantità di abitazioni, la seconda appunto perché molte abitazioni sono state distrutte o gravemente danneggiate. La tempesta ha percosso con venti fino a 270 km/h l’arcipelago situato fra le Figi e la Nuova Caledonia, con una popolazione di 267.000 abitanti sparsi su 65 isole e isolette, dove gran parte della popolazione è isolata e senz’acqua. Anche nella capitale Port Vila migliaia gli evacuati. Notizie non confermate riferiscono di 44 morti solo nella provincia nord-orientale di Penama, ma al momento fare un bilancio è impossibile.
Moltissimi villaggi a Vanuatu sono privi di linee di comunicazione. Il presidente di Vanuatu, Baldwin Lonsdale, che, per una beffa della sorte, al momento del disastro si trovava a Sendai, in Giappone, per la “Terza conferenza mondiale dell’Onu sulla riduzione del rischio di disastri naturali”, ha lanciato un appello alla comunità internazionale per “aiuti urgenti” a causa della devastazione causata dal ciclone Pam sul suo piccolo Stato nel cuore del Pacifico.
Prima che le stazioni del paese interrompessero la rilevazione e/o la trasmissione dei dati, si erano ragistrati, all’arrivo del tifone venerdì 13 marzo, 107 mm a Pekoa Airport (dove già 60 mm erano caduti nelle 24 ore precedenti), 53 a Sola Vanua Lava (132 nelle 24 ore precedenti), 45 a Lamap Malekula (89 nelle 24 ore precedenti).