Fra le regioni del Nord Italia, forse il Veneto è quella che più di tutte è alle prese con uno scenario siccitoso dai contorni sempre più inquietanti: sono mancate anzitutto le grandi piogge autunnali e elemento ancor più grave, anche i consistenti apporti nevosi tipici della stagione invernale. La quantità di neve caduta da inizio ottobre (cumulo di neve fresca) risulta parecchio inferiore alla media storica (dal 1970): le precipitazioni nevose sono state circa il 35% in meno a 2200 m di quota e addirittura il 70% in meno nella fascia altimetrica fra 1200 e 1600 metri, specie sui settori prealpini. Guardando lo spessore del manto nevoso, nell’ultima decade di febbraio, siamo di fronte al secondo anno più scarsamente innevato dopo il 2000.
Non è insolito avere a che fare con periodi siccitosi invernali, d’altronde le maggiori precipitazioni non si sono mai avute nel cuore della stagione fredda. Si soffre più che altro il lungo periodo siccotoso che minaccia di non interrompersi a breve. Questo scenario così pessimo si traduce in una diminuzione sensibile del volume di acqua, presente nei bacini montani, fonte indispensabile per garantire anche l’irrigazione nei territori agricoli a valle: al 28 febbraio i principali invasi del fiume Piave (lago di Pieve di Cadore, lago del Mis, lago di Santa Croce) sono appena ad un terzo della loro capacità; una situazione analoga si registra lungo il fiume Brenta, che va a completare un quadro generale che, dall’inizio dell’anno, segnala indicativamente riserve idriche generalmente inferiori alla norma.
Rispetto alla media calcolata dal 1994, il fiume Lemene evidenzia un valore pari a – 49 %, il fiume Piave -35%, i fiumi Brenta e Bacchiglione sono – 30%, con una media pari -34% per tutto il territorio regionale. Nel lago Centro Cadore, ai livelli della siccità estiva del 2003 (diversi metri al di sotto del livello consueto a di fine inverno), si è addirittura verificata una moria eccezionale di pesci. L’indice di scarsità idrica (Water Scarsity Index), recentemente elaborato da Arpav-Drst nell’ambito del progetto UE “Alp Water Scarce” ed attualmente applicato a livello sperimentale, configura la situazione al 28 febbraio come la seconda peggiore dopo l’anno 2001-02. Se si considera che la pedemontana veneta è considerata il bacino idrico maggiore d’Europa, questa penuria di precipitazioni sta assumendo contorni sempre più importanti.
Stanno emergendo fortissime criticità anche in merito ai livelli delle falde che registrano, ad esclusione dell’alta pianura di Verona, valori inferiori alla media del periodo, talora con scarti rilevanti (Dueville-Eraclea). Nell’Alto Vicentino l’abbassamento freatico, iniziato a dicembre, ha già superato nella fascia pedemontana valori di – 2 metri rispetto ai valori di riferimento, mentre più a sud, a Dueville ha registrato il minimo del periodo in 20 anni di osservazione. La situazione nel suo complesso non è ancora gravissima: tuttavia, proseguendo in questa direzione, i prossimi mesi si preannunciano a rischio. L’esigenza di garantire i minimi flussi vitali dei fiumi, potrebbe compromettere gravemente l’inizio della stagione irrigua con conseguenti gravi danni per l’agricoltura.