Lavori eseguiti in precedenza dimostravano che il buco dell’ozono aveva delle influenze sul flusso atmosferico alle alte latitudini, mentre la nuova ricerca dimostra che il buco dell’ozono è in grado di influenzare la circolazione tropicale e di accrescere le precipitazioni alle basse latitudini dell’emisfero meridionale.
E’ la prima volta che il buco dell’ozono è stato collegato ai cambiamenti climatici dal Polo all’equatore. “Il buco dell’ozono non è nemmeno menzionato nell’ultimo rapporto IPCC”, osserva Lorenzo M. Polvani, professore di Matematica Applicata e di Scienze della Terra e Ambientali, Senior Research Scientist presso il Lamont-Doherty Earth Observatory, e co-autore della ricerca. “Con questo studio siamo in grado di dimostrare che il fenomeno ha impatti di grandi dimensioni e di ampia portata. Il buco dell’ozono gioca un ruolo fondamentale nel sistema climatico globale!”
“E’ davvero stupefacente che il buco dell’ozono, che si trova così in alto nell’atmosfera sopra l’Antartide, può avere un impatto fino ai tropici e influenzare le precipitazioni sin su quelle zone – proprio come un effetto domino”, ha detto Sarah Kang, Postdoctoral Research Scientist presso il Dipartimento di Ingegneria della Columbia School e autrice dello studio. Il buco dell’ozono è ormai ampiamente ritenuto essere l’agente dominante dei cambiamenti della circolazione atmosferica avvenuti negli ultimi 25 nell’Emisfero Australe. Significa, secondo Polvani e Kang, che gli accordi internazionali sui cambiamenti climatici non possono limitarsi al solo monitoraggio del carbonio. “L’ozono è fondamentale perché potrebbe essere un vero e proprio fattore determinante “, ha aggiunto Polvani.
Situato nella stratosfera della Terra, appena al di sopra della troposfera (che inizia sulla superficie terrestre), lo strato di ozono assorbe la maggior parte dei raggi solari ultravioletti dannosi. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, l’uso diffuso di composti contenenti clorofluorocarburi (CFC), ha notevolmente e rapidamente modificato lo strato di ozono, fino al punto da causare un buco sopra l’Antartide a metà degli anni 1980. Grazie al protocollo di Montreal del 1989, ora ratificato da 196 paesi, la produzione mondiale di CFC è stata gradualmente eliminata. Il risultato, secondo gli scienziati, è evidente e negli ultimi dieci anni è iniziata l’inversione di tendenza. Tanto che, se tutto dovesse procedere nel verso giusto, entro metà del secolo dovrebbe richiudersi.
Ma Polvani aggiunge: “Mentre il buco dell’ozono è considerato un problema risolto, non altrettanto si piò asserire circa i cambiamenti climatici che ha causato”. Così, anche se i CFC non vengono più immessi nell’atmosfera, e lo strato di ozono si riprenderà nei prossimi decenni, la chiusura del buco dell’ozono avrà un impatto considerevole sul clima. Ciò dimostra che attraverso i trattati internazionali come il Protocollo di Montreal, definito come l’accordo di maggior successo internazionale fino ad oggi, gli uomini sono in grado di apportare modifiche al sistema climatico.
Insieme ai colleghi del Centro canadese per la modellizzazione e analisi del Clima, Kang e Polvani hanno usato due diversi modelli climatici per mostrare l’effetto del buco dell’ozono. In primo luogo hanno riprodotto i cambiamenti atmosferici creando un buco nell’ozono. Hanno poi confrontato questi cambiamenti con quelli che sono stati registrati realmente negli ultimi decenni: lo stretto accordo tra i modelli e le osservazioni mostrano che l’ozono è stato verosimilmente il responsabile dei cambiamenti osservati nell’emisfero australe.
Il risultato ottenuto è da ritenersi una grandissima novità in materia e tutto ciò è stato reso possibile dalla collaborazione internazionale tra gli scienziati della Columbia University e i colleghi canadesi. Ottenere risultanti affidabili sulle precipitazioni è notoriamente difficile servendosi esclusivamente dei modelli climatici e un unico modello di solito non è sufficiente a stabilire risultati credibili. Unendo gli sforzi e confrontando i risultati di due modelli indipendenti, gli scienziati hanno ottenuto risultati concreti.
Kang e Polvani proseguiranno la loro ricerca studiando gli eventi estremi associati a gravi inondazioni, frane, ecc. “Abbiamo tanta voglia di capire,” conclude Kang, “se e come la chiusura del buco dell’ozono influirà su questi episodi”.