GHIACCIAI ALPINI, LA CRISI NON SI FERMA – Nonostante una stagione glaciologica del 2013 che sembrava molto positiva (grazie ad una primavera eccezionalmente nevosa), in realtà per alcuni ghiacciai alpini la situazione non è poi migliorata e resta anzi critica, anche perché quell’importante riserva di neve è stata intaccata da un’estate nel complesso piuttosto calda ed un autunno che stenta non poco. Quello che conta sullo stato generale dei ghiacciai è comunque l’andamento generale degli ultimi decenni, come sappiamo caratterizzato da un intenso riscaldamento globale, i cui effetti appaiono marcati anche soprattutto in alta quota sulle a regione alpina. Uno dei ghiacciai che sembra messo peggio è quello dell’Ortles, il più alto dell’Alto Adige e di tutte le Alpi Orientali: è il risultato di una ricerca durata due anni e condotta da geologi, climatologi, tecnici e ricercatori di oltre 20 istituti diversi, provenienti da tutto il mondo.
ORTLES, PREOCCUPA L’INTERNO DEL GHIACCIAIO – Solo un anno fa era crollata la croce sulla vetta dell’Ortles (leggi qui per approfondimenti), a conferma di uno stato pessimo del ghiacciaio che domina questa cima di quasi 4000 metri sulle Alpi dell’Alto Adige. La situazione è preoccupante, perché nonostante la calotta sommitale dell’Ortles sia ancora interessata da un accumulo nevoso relativamente positivo, l’intenso riscaldamento atmosferico osservato anche alle quote più elevate durante gli ultimi 30 anni sta modificando progressivamente le caratteristiche interne del ghiacciaio. In sostanza succede d’estate la neve superficiale si scioglie abbondantemente anche sulla vetta dell’Ortles e l’acqua cola all’interno del ghiacciaio. Questo fa in modo che la calotta ghiacciata dell’Ortles stia passando da un cosiddetto stato “freddo” a uno “temperato”.
AD UN PASSO DALLA FUSIONE – I risultati delle analisi condotte mostrano come gli strati di ghiaccio profondo, formatisi prima degli anni ottanta quando le temperature atmosferiche erano più basse, stanno dunque approssimandosi alla temperatura di fusione. Si tratterebbe di un fenomeno senza precedenti negli ultimi secoli, se non millenni, anche se sono necessari ulteriori studi ed approfondimenti per capire quando gli strati basali del ghiacciaio dell’Ortles raggiungeranno la temperatura di fusione e quali saranno le conseguenze di questo fenomeno sulla dinamica e la morfologia del ghiacciaio. Questo trend così allarmante è difficile da arrestare e deriva soprattutto dall’andamento delle estati degli ultimi 20 anni, caratterizzate da sempre più frequenti incursioni dell’anticiclone africano, il quale va poi a favorire fasi di caldo anomalo, talvolta persistenti anche in alta quota montagna, con zero termico ben oltre i 4000 metri.
EMERSO STRATO RADIOATTIVO – Nei campioni di sottosuolo prelevati durante la spedizione i ricercatori americani hanno identificato a 41 metri di profondità lo strato leggermente radioattivo risalente all’anno 1963. Si tratta di un’anomalia ritrovata anche negli altri siti di perforazione glaciali, dall’Antartide fino alla Groenlandia, in quanto in quel periodo erano molto frequenti i test nucleari in atmosfera. Si tratta comunque d’indicazioni molto utili per la datazioni delle carote di ghiaccio. L’età del ghiaccio basale dell’Ortles potrebbe risalire ad oltre 2500 anni fa, secondo l’analisi (attraverso il carbonio 14) di un ago di conifera trasportato dal vento in antichità