La ragione, anche se le motivazioni ufficiali sono ben altre, è semplice: entrare in possesso di un’area del Pianeta che – secondo le stime dell’ente statunitense Geological Survey – conterrebbe il 30 per cento del gas naturale ancora da estrarre e il 15 per cento del petrolio.
Non ci si deve stupire, quindi, che i Paesi che si affacciano sul Circolo Polare Artica tentino di appropriarsene a colpi di rivendicazioni più o meno fondate e carte bollate. Gli ultimi in ordine di tempo sono i canadesi, che tramite fonti governative hanno fatto sapere di aver consegnato alle Nazioni Unite una richiesta preliminare per l’espansione dei propri confini marittimi.
Richiesta che segue circa un decennio di esplorazione dei fondali nordorientali, durante le quali sarebbero stati ridefiniti i limiti esterni della piattaforma continentale nel Mar Glaciale Artico. Richieste in tal senso sono già state avanzate dalla Danimarca e dalla Russia, ragion per cui è facile ipotizzare crescenti tensioni tra Paesi che da tempo manifestano “pericolose” mire espansionistiche in un’area del Pianeta che necessiterebbe di ben altre attenzioni.