Sono trascorsi 190 anni circa, da quel 19 aprile 1815, quando un’esplosione d’immani dimensioni si produceva nell’Isola di Sumbawa, parte orientale di Giava, dove il Monte Tambora diede un’eruzione vulcanica di portata catastrofica.
Tutto l’Emisfero Boreale fu interessato da una sensibile diminuzione della trasparenza atmosferica, in quanto le polveri immerse in atmosfera e distribuite dai venti d’alta quota, realizzarono un velo che ridusse la radiazione solare che raggiunge il suolo.
Da subito la Primavera apparve instabile più della norma nelle regioni a clima continentale, a maggio sul Nord America ed in Europa si ebbero repentine ondate di freddo, con neve in Germania, Svizzera e Francia.
Il clima non fu clemente per tutta l’estate, con carestie dovute al maltempo. Ma il peggio doveva ancora venire.
Nel frattempo la cenere del Tambora si diffuse in atmosfera, e d’inverno si ebbero fenomeni insoliti:
in Ungheria si ebbe una nevicata durata due giorni di color marrone e poi amaranto. Si racconta che nella città di Taranto una tempesta di neve lasciò al suolo neve gialla e rossa.
E nel frattempo non solo la visibilità nel cielo diminuiva, in tutto l’Emisfero Nord si ebbe un aumento della foschia che attenuava i raggi del sole. In primavera inoltrata il gelo e la neve tardarono a lasciare le regioni a clima temperato d’Europa.
Successive ondate di freddo si ebbero in giugno, con diverse tormente di neve fin sull’Europa centrale. Nei primi giorni d’estate la neve cadde anche nelle regioni temperate del Nord America, accompagnata da forte vento e tormente mai viste in questa stagione.
Era il 1816, la temperatura estiva misurata in Inghilterra era stata sino a circa 5°C inferiore alle medie.
Si ebbero grandinate estive e violenti temporali che annientarono i raccolti in mezza Europa. E laddove non furono distrutti dal maltempo e dalle eccessive piogge, maturano con i primi freddi che non tardarono a venire tra settembre ed ottobre.