L’appuntamento è fissato per il settembre 2022. Lo afferma, senza tentennamenti, Carlo Carraro, appena rieletto nel direttivo dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), in una dichiarazione al quotidiano ‘La Stampa’ del 14 ottobre: «L’Ipcc è stato troppo cauto. Guardi il caso del calcolo delle emissioni sottostimate o delle previsioni sull’Artico, di cui fra sette anni, a settembre, non rimarrà un cubetto di ghiaccio».
Carraro è vice presidente dell’area Ipcc sugli impatti economici indotti dal cambiamento climatico e sembra avere le idee chiare su quel che succederà: «In inverno [la calotta] si riformerà, ma è un cambiamento senza precedenti e con forti impatti, come l’aumento del livello dei mari e la scarsità d’acqua per l’innalzamento della temperatura, che provoca, tra l’altro, l’intensificarsi di eventi estremi».
In vista della Conferenza sul clima di Parigi (Cop 21: 30 novembre – 11 dicembre) si moltiplicano gli interventi che indicano ‘con certezza’ l’attività antropica quale causa del riscaldamento globale. Su ‘Avvenire’ del 13 ottobre, Marco Morosini ha stigmatizzato la scoperta del mega giacimento di gas naturale al largo delle coste egiziane (almeno 800 miliardi di metri cubi), legandolo simbolicamente all’esodo dei migranti nel Mediterraneo. Spiega infatti: «Secondo geologi e climatologi, il limite dei combustibili fossili non è nel loro imminente esaurimento. Si stima infatti che dal sottosuolo ne siano accessibili almeno tanti quanti ne abbiamo bruciati negli ultimi due secoli. Il vero limite ai combustibili fossili sono le conseguenze climatiche catastrofiche, se bruciassimo tutti quelli disponibili. Mentre i climatologi raccomandano di lasciarli dove stanno, la nostra ‘brama fossile’ continua a spingerci a nuove esplorazioni ed estrazioni. Dimentichiamo però che i profitti di oggi saranno una delle cause dei profughi ambientali di domani».
Quel che colpisce di tali affermazioni, non è solo l’assenza di certezze scientifiche: si dà infatti per assodato ciò che continua a rimanere una teoria in attesa di dimostrazioni, cioè che le emissioni di anidride carbonica siano la causa diretta del riscaldamento globale. A lasciare perplessi piuttosto, sono gli scenari di assoluto catastrofismo. Chi propugna la conversione delle economie, nuovi stili di vita e di produzione energetica, lo fa insistendo solo su queste visioni da Armageddon. Basta leggere l’attacco di questo servizio di Rai News: «Farà sempre più caldo e si morirà come mosche». Poi però si spiega che, secondo una ricerca condotta in Inghilterra, si passerà dagli attuali 2.000 decessi annui dovuti al caldo, a più di 5.000 entro il 2050. Tuttavia, prosegue il servizio, le morti collegate a basse temperature sono oggi 41 mila e caleranno del 2% grazie a inverni più miti.
Allora, se vogliamo metterla sul pulp, quand’è che si muore come mosche, dato che durante la stagione fredda i decessi conseguenti sono 20 volte più che d’estate, e rimarrebbero comunque di 8 volte superiori anche se si realizzassero gli scenari più foschi? Questa realtà è stata dimostrata anche dalla rivista ‘The Lancet’ nel numero dello scorso 25 luglio (vol. 386, n. 9991, pp. 369-375; si tratta di una delle più prestigiose testate nel campo della medicina): dall’interpretazione di 74.225.200 decessi avvenuti tra il 1985 e il 2012 in 384 località sparse per il mondo, si conclude che «most of the temperature-related mortality burden was attributable to the contribution of cold», ovvero che la maggior quota di mortalità correlata alle temperature è riconducibile a episodi di freddo.
Detto questo, non resta che aspettare il settembre 2022: quando dell’Artico non rimarrà un cubetto di ghiaccio. Rassegnamoci: berremo soltanto caipirinha liscia. Prosit!