Con un senso di gratitudine, ho appena terminato la lettura dell’editoriale di Aldo Meschiari sul summit di Copenaghen (www.meteogiornale.it/notizia/16816-1-clima-ignoranti-ed-eco-arroganti), che fa il paio con quello di Massimo Aceti di qualche giorno prima (www.meteogiornale.it/notizia/16788-1-i-non-allineati-discorso-sopra-la-conferenza-di-copenhagen). Non so cosa sia accaduto ultimamente in Danimarca: solo nella tarda serata di ieri (16 dicembre) sono rientrato a Casablanca, dove finalmente ho a disposizione una connessione internet veloce. Ma, leggendo Meschiari, mi è venuta in mente una battuta di Hamin Chabar, governatore della provincia di Dakhla, che ieri ci ha ricevuti nel suo palazzo, quasi al confine con la Mauritania. Eravamo un gruppo di giornalisti italiani in visita, perciò l’autorità locale teneva a illustrare le particolarità della regione, oltre alle complessità geopolitiche (chi fosse interessato, può seguire il reportage di Tv7 in onda su RaiUno venerdì 18 dicembre dopo le 22.40). Ebbene, il governatore, riferendosi a un territorio stretto fra il Sahara e l’oceano Atlantico, dove i venti che trasportano la sabbia rendono un’impresa strappare qualche metro al deserto per l’agricoltura e l’allevamento, ha detto: «Quella che era la nostra maledizione, sta diventando la nostra benedizione».
Lo sta divenendo grazie a un investimento tedesco in parchi eolici che, insieme al solare di ultima generazione, permetterà al Marocco, un Paese che non ha petrolio, né gas, di diventare esportatore di energia verso l’Europa. Sono i passi preliminari al progetto Desertec, che Francesco Aliprandi ha, di recente, descritto con dovizia (www.meteogiornale.it/notizia/16729-1-il-progetto-desertec-2). Il riemergere della battuta del governatore era il tentativo di rispondere a una domanda: cosa avrà prodotto tutta questa propaganda, se il Global warming si rivelerà una bufala? Non voglio ripetere ciò che hanno già chiarito Meschiari e Aceti: aggiungo solo che non credo a una parola di quanto dice Al Gore, né ho fiducia nei ricercatori della Hockey stick. Però ritengo giusto guardare agli aspetti positivi che la questione climatica ha messo in moto. Fino a qualche anno fa, chi avrebbe mai pensato di investire seriamente in mezzo al Sahara? Era solo un esercizio intellettuale l’immaginare realizzazioni come quelle che, invece, si stanno concretando: alimentate da una propaganda che disegna scenari improbabili, è vero, ma sostenute da un business che vede chiaro.
Insistere affinché l’agenda politica si adegui per salvaguardare le generazioni di domani è pura demagogia: nessuno può sapere cosa sarà il mondo nel 2050. Quel che sta accadendo invece, riguarda le generazioni di oggi, a cui è data un’imprevista possibilità di sviluppo. Nell’ex Sahara Spagnolo, Dakhla era solo uno scalo tecnico dei voli diretti in Sud America; adesso, sotto l’egida del Marocco, è una città in rapida crescita, che ha eliminato le bidonville e dove si stanno aprendo scenari di grande suggestione. Ecco da dove può passare la nuova coscienza ambientale: e senza bisogno di scomodare l’apocalisse.
Poi, è vero: noi giornalisti siamo in parte responsabili di questo gonfiare della questione climatica oltre i limiti della ragionevolezza, e a volte lo siamo, sia detto col dovuto rispetto, anche per una profonda mancanza di cultura. Chiudo con un ulteriore esempio: il 5 dicembre Radio 24, fra i mezzi di comunicazione più attenti e autorevoli del panorama italiano, ha dedicato una trasmissione all’Antartide e alla possibilità che il livello marino possa crescere. Avendo fatto notare al direttore dell’emittente, Gianfranco Fabi, che in quella puntata di tutto si è parlato, fuorché di cosa stia effettivamente accadendo alla calotta antartica, la risposta, cortese ma significativa, è stata: «La realtà è che anche le calotte polari si stanno sciogliendo e quindi è giustificato valutarne gli effetti. Più ampi per l’Antartide, dove il ghiaccio è sopra la terra, più limitati per l’Artide, dove il ghiaccio è in gran parte sotto il livello del mare» (comunicazione personale, 7 dicembre 2009). Ed è proprio lì, in quella sfida alle leggi della fisica che il ghiaccio sotto il livello del mare impone, che la nostra categoria mostra la corda, facendosi sfuggire l’essenza del problema e lasciando che siano altri interessi a dirigere l’informazione.