La possibilità che, nei prossimi giorni, un’irruzione di correnti siberiane coinvolga l’Europa occidentale è fonte di preoccupazione per chi abita nei Paesi mediterranei. Ma un ingegnere francese con origini modicane (Modica, in Sicilia) quotidianamente sperimenta il freddo vero, quello che gela la faccia e, in qualche istante, pure i polmoni. Da più di dieci mesi Jonathan Zaccaria vive nel cuore del luogo più gelido del mondo: al centro del Plateau Antartico, a 3.233 metri sul livello del mare, nella base Concordia, a circa 1.700 chilometri dal Polo Sud.
In queste settimane l’inverno, che laggiù dura sei mesi, è ormai terminato, ma il catalogo delle temperature minime di quello che può definirsi un principio di primavera è inequivocabile:
20 ottobre -62,0 °C
21 ottobre -64,2 °C
22 ottobre -62,6 °C
23 ottobre -65,7 °C
24 ottobre -63,7 °C
25 ottobre -65,1 °C
26 ottobre -64,3 °C
Per avere un’idea più compiuta di cosa sia il freddo a quelle latitudini tuttavia, bisogna considerare il windchill, cioè la temperatura effettivamente percepita sulla pelle, tenuto conto della velocità del vento: non è raro infatti che, combinando le indicazioni del termometro con quelle dell’anemometro, si scenda al di sotto dei -100 °C.
Al termine della lunga notte polare, che ai 75°06′ di latitudine sud dura circa tre mesi, ecco la testimonianza di Jonathan Zaccaria: «In ultima analisi – racconta – la parte più difficile non è affrontare il buio totale, o svolgere un lavoro minuzioso all’esterno con temperature estreme, bensì lavorare senza un giorno di riposo, in coabitazione con undici sconosciuti, per 365 giorni, lontano da ogni divertimento e piacere, dagli amici e dai familiari».
Le basi più prossime stanno a oltre mille chilometri. In tutto, sull’immenso plateau bianco, la cui superficie è più vasta di quella dell’Europa, attualmente vivono circa 1.500 persone: quanto un paesino delle campagne italiane o francesi. Si tratta di specialisti della ricerca polare, scienziati e tecnici, ripartiti in una cinquantina di stazioni simili a Concordia. Solo tre basi però, cioè l’americana Amundsen-Scott, esattamente al Polo Sud geografico, la russa Vostok, oltre a Concordia che è gestita da italiani e francesi, si trovano all’interno del continente; tutte le altre sorgono sulle coste.
Il sole è un conforto: la sua ricomparsa, l’11 agosto, ha annunciato la prossima fine dell’inverno, e ora si leva un po’ più alto sull’orizzonte ogni giorno che passa. Questo lungo periodo di isolamento, durato nove mesi, sarà presto interrotto dall’arrivo del primo aereo, un bimotore della seconda guerra mondiale, un DC3 attrezzato di sci, il cui atterraggio a Concordia è previsto per il 14 novembre. «Ancora non so quando avverrà il mio rientro – continua Jonathan Zaccaria – né secondo quale itinerario. Forse in volo col DC3 fino alla base costiera francese Dumont d’Urville, che da qui dista 1.100 km, e poi con l’imbarco sul rompighiaccio Astrolabe, che in una settimana, attraversando 2.700 km di gelidi mari, mi porterebbe in Australia; oppure transitando dalla base americana McMurdo, da dove i mezzi aerei militari mi porterebbero verso la Nuova Zelanda. Comunque, ovunque arriverò, inizierà il mio viaggio di ritorno in Europa, diviso tra la nostalgia per un anno di vita che lascerò alle spalle e l’emozione di riscoprire tutto ciò che mi è mancato durante questi 13 mesi».
Con l’arrivo dei componenti della missione successiva, la sesta da quando Concordia è divenuta operativa, Jonathan Zaccaria dovrà effettuare il passaggio di consegne. «Quaggiù – spiega – sono responsabile di tre attività. Assicuro il corretto funzionamento delle telecomunicazioni (via satellite, tramite e-mail o telefono), importanti per mantenere un rapporto con le nostre famiglie e coi laboratori di ricerca; curo poi l’informatica della base e di otto progetti di geofisica, tra cui sismologia, geomagnetismo, telemetria. Nello specifico, risolvo i problemi tecnici dei colleghi scientifici, soprattutto quelli di Laura Genoni (glaciologa della spedizione italiana: ndr)».
L’ingegner Jonathan Zaccaria non è alla sua prima esperienza antartica. Infatti, durante la prima stagione di operatività della base Concordia, nel 2005, ha svernato a Dumont d’Urville, nella Terra Adelia, nei luoghi dov’è stato girato il film “La marcia dei pinguini”. «Fra le tante motivazioni che mi hanno spinto a lavorare ancora per l’Istituto Polare Francese (IPEV), dopo aver già vissuto per un anno in un’oasi accanto a pinguini e foche, c’era quella di scoprire cosa significhi stare nel deserto più grande del mondo, dove non esiste alcuna forma di vita, dove anzi la vita assomiglia a quella che si potrebbe immaginare in una base lunare».
Jonathan Zaccaria, che grazie alle sue radici parla correntemente italiano, trascorre il poco tempo libero a filmare la vita quotidiana a Concordia. «Voglio testimoniare al mondo questa esperienza umana molto speciale. Lo scopo? Semplicemente, cercare di far capire come si vive in questi luoghi: ai nostri familiari, naturalmente, ma pure a chi viene a lavorare in Antartide ogni estate, persone che non conosceranno mai il periodo invernale. Infine, vorrei mostrarlo a tutti coloro che sono interessati all’avventura polare. Qui ho visto e vissuto cose di cui solo un pugno di persone hanno esperienza. Ho veduto un cielo stellato indescrivibile, lo spettacolo del raggio verde è divenuto quasi banale, ho respirato aria così pura da congelare il viso».
Fra qualche settimana tutto ciò avrà termine e Jonathan Zaccaria, allora, archivierà il suo secondo anno in Antartide tra le cose ormai vissute.