L’ingresso nel semestre caldo sta portando quello che è l’inizio della fisiologica fusione dei ghiacci della calotta artica: dopo l’estate da incubo del 2012, il timore è che si sono possano raggiungere nuovi record negativi. Ormai passato il freddo inverno artico, secondo le misurazioni satellitari il massimo stagionale è stato il quinto più basso dal 1979, pienamente in linea con il calo che si registra anche per quanto concerne l’estensione dei ghiacci invernali (9 dei 10 più piccoli massimi d’estensione si sono misurati negli ultimi dieci anni). Secondo la NASA, l’estensione massima si è toccata il 28 febbraio (15.09 milioni di chilometri quadrati), mentre per la NSIDC il massimo stagionale si sarebbe raggiunto il 15 marzo, con l’estensione di 15,13 milioni di chilometri quadrati. La differenza è dovuta all’uso di metodi di calcolo leggermente differenti, ma si tratta di una differenza di appena mezzo punto percentuale rispetto alla NASA.
L’andamento del ghiaccio marino in questa fase resta nel complesso negativo, ovvero ben sotto la portata media massima annuale degli ultimi 3 decenni di circa 700 mila chilometri quadrati, con l’eccezione di una maggiore estensione nel Mare di Bering. Va peggio dello stesso periodo dell’anno scorso: non ha certo aiutato la forte negativa dell’indice d’oscillazione artica nella seconda parte di marzo, con l’anomalo anticiclone su quasi tutto il Mar Glaciale Artico. Va detto che il comportamento dei ghiacci nella stagione invernale non sono necessariamente predittivi dell’estate che segue. La storia mostra che vi sono stati episodi in cui un massimo significativo invernale è stato seguito da un minimo estivo particolarmente basso, e viceversa. Difficile quindi dire cosa accadrà nei prossimi mesi: di certo gli auspici non sono dei migliori, anche perché il livello del ghiaccio cosiddetto pluriennale (quello più spesso ed antico) resta estremamente basso.