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Un inverno terribile in Mongolia

di Giovanni Staiano
14 Mar 2010 - 09:35
in Senza categoria
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Un anziano pastore rimuove le carcasse delle sue capre, uccise dal grande gelo. L'immagine si riferisce allo scorso gennaio, nella provincia mongola di Arkhangai. Fonte www.guardian.co.uk
Un inverno gelido, con temperature nettamente inferiori alle medie stagionali, ha sconvolto la Mongolia. Per tre mesi abbondanti il Paese asiatico, stretto tra la Russia siberiana e il nord della Cina, è rimasto paralizzato da un gelo intensissimo, in alcune zone accompagnato anche da nevicate continue.

Oltre tre milioni di animali, tra yak, pecore, capre, cavalli e cammelli, sono morti per il freddo e per la fame. Intere regioni sono rimaste a lungo isolate. Migliaia di persone sono allo stremo, consumate dalla denutrizione, dall’esaurimento delle fonti di riscaldamento e dall’impossibilità di essere curate. Decine di pastori nomadi sono morti per gli stenti, tra loro molti bambini. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, chiedendo aiuto alla comunità internazionale. Le autorità mongole stimano che prima del disgelo, atteso a maggio, moriranno almeno altri tre milioni di capi di bestiame.

Con l’arrivo della primavera si rischia un’altra catastrofe. Lo scioglimento di ghiaccio e neve potrebbe causare alluvioni, distruggendo i pascoli e le magre coltivazioni. Milioni di carcasse di animali potrebbero inquinare le sorgenti, favorendo la diffusione di epidemie. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme, paragonando l’emergenza ad uno tsunami o a un terremoto. Il programma di sviluppo dell’Onu, come intervento immediato, ha destinato un fondo di 4 milioni di dollari per rimuovere e seppellire le carcasse.

L’Unicef ha lanciato l’allarme per la mancanza di cibo e riscaldamento in centinaia di dormitori delle scuole. Alunni e studenti, che trascorrono l’inverno nelle scuole, lontano dalle famiglie sparse in montagna e nelle steppe, non possono salvarsi tornando a casa o nelle yurte (le tipiche tende dell’Asia centrale) perché le piste sono interrotte o cancellate.

La Mongolia, pur abituata da sempre a condizioni estreme (la continentalità del suo clima è esasperata), è nella morsa di un cambiamento climatico devastante. L’inverno gelido e nevoso è venuto dopo un’estate calda e soprattutto arida. Il fenomeno dell’accentuazione degli estremi stagionali, chiamato Dzud, si era finora ripetuto ogni otto-dieci anni, consentendo a uomini, animali e piante di rimettersi dai dissesti. Dal 1990 questo è invece il quinto Dzud che flagella i mongoli. Le temperature estive sono aumentate in media di 2,2°C, quelle invernali scese di 3,5°C.

Le medie climatologiche di Ulaan-Baator ne fanno la capitale con gli inverni più freddi del pianeta. Le medie di dicembre, gennaio e febbraio sono -23,8°/-13,7°C, -26,5°/-15,6°C, -24,1°/-11,4°C, quest’anno le medie dei tre mesi sono state: dicembre -25,2°/-14,9°C gennaio -28,2°/-18,6°C, febbraio -26,0°/-14,7°C. Nelle zone più fredde del paese, a partire da fine novembre, raramente la temperatura media giornaliera ha superato i 30 gradi sotto zero, avvicinandosi spesso, nelle minime, ai -50°C. Ulaan-Gom, nel nordovest, ha queste medie invernali: dicembre -30,6°/-21,2°C, gennaio -36,6°/-26,0°C, febbraio -35,4°/-23,4°C. Nel trimestre invernale 2009/10 le temperature medie sono state: dicembre -33,7°/-22,2°C, gennaio -40,6°/-28,9°C, febbraio -40,4°/-26,8°C. Nel nord del paese, Rinchinhumbe ha registrato in febbraio temperature medie -37,6°/-26,7°C, contro medie di minime e massime -34,0°/-21,0°C, dopo che già gennaio e dicembre erano state sottomedia. Anche nella prima decade di marzo le temperature sono rimaste sotto le medie stagionali, con minime ancora vicine a -40°C in molte regioni.

Tre quarti della superficie della nazione, vasta cinque volte l’Italia, era ancora coperta, all’inizio di marzo, da uno strato di neve ghiacciata, localmente anche spesso 40 cm, che sono molti in una terra caratterizzata da inverni gelidi ma con scarsissime precipitazioni. Le enormi mandrie, unico bene della popolazione, non hanno più avuto la possibilità di scavare fino a raggiungere licheni e arbusti. La strage del bestiame e il deperimento dei capi ancora in vita hanno privato la gente di latte, grasso e carne, componenti essenziali dell’alimentazione. E’ venuto a mancare anche lo sterco degli yak, combustibile primario fuori dalla capitale e nelle aree dove manca il legname offerto dalla vegetazione.

La periferia di Ulan Bator si è trasformata in una tendopoli di disperati, in fuga dai deserti e dalle steppe, accampati in condizioni igieniche precarie. Il Ministero degli Interni ha lanciato l’allarme a causa di saccheggi nei negozi di alimentari e assalti nelle abitazioni dei residenti, alla ricerca di vestiti e carbone.

Già nel 2001, dopo un inverno comunque meno difficile di quello 2009/10, migliaia di famiglie nomadi hanno abbandonato la vita pastorale riducendosi all’emarginazione nei sobborghi delle città. Sette maschi adulti su dieci, secondo una ricerca del governo, lottano contro l’alcolismo, una piaga tipica delle popolazioni nomadi forzate a diventare stanziali, ma in condizioni di miseria e degrado. Quest’anno le condizioni sono ancora più drammatiche. Almeno il 10% del bestiame, ovvero quasi 5 milioni di capi, è perduto. Secondo gli ultimi dati del governo, il gelo ha falciato 1,8 milioni di capre, 1 milione di pecore, 200.000 mucche, 150.000 yak, 90.000 cavalli e 1700 cammelli. Dei 2,6 milioni di mongoli, oltre 1 milione era dedito alla pastorizia migrante. Circa trecentomila famiglie hanno espresso la volontà di abbandonare la millenaria vita tradizionale e presentato domanda per un alloggio pubblico, ma questo vorrebbe dire stravolgere il profilo sociale del paese. Su 21 province, sepolte da una neve in genere non spessa ma dura come marmo, 19 hanno subìto danni notevoli. Le regioni del nord e dell’ovest, abitate dalla minoranza kazaka aggrappata alle grandi montagne, rischiano lo spopolamento definitivo.

Il bilancio della nazione, già povera, non è in grado di sostenere gli aiuti per una ripresa. Il bestiame è da sempre una risorsa essenziale per i mongoli, da prima di Gengis Khan. Senza animali non possono mangiare, vestirsi, riscaldarsi, costruire le yurte e spostarsi. Chi ha perso i propri capi non ha perduto solo reddito e lavoro ma la possibilità stessa di sopravvivenza della famiglia. All’inizio dell’inverno i nomadi sono scesi dalle praterie d’alta quota, chiudendo gli animali in ripari di sasso che distano molte ore dai loro rifugi invernali. Secondo il responsabile dell’ufficio veterinario nazionale, l’assenza di fieno sotto la neve, anche a causa delle scarse piogge dell’estate 2009, ma soprattutto l’interruzione delle piste, che ha portato all’abbandono del bestiame per settimane, sono all’origine della catastrofe.

Da Cina, Kazakhstan e Russia sono giunti convogli umanitari con cibo, coperte, medicine e scarpe. Per le Nazioni Unite, si tratta però di “una goccia nel mare”, mentre neonati e bambini muoiono di fame e freddo.

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