William stava osservando da giorni quel mutamento delle correnti che gli indicavano la disfatta del freddo e della neve. L’aria non aveva più quell’acume gelido e penetrante, ma portava dei sapori ed aromi diversi, dal mare e lungo il fiume, sino a raggiungere il piccolo centro abitato. La stessa “puzza” salmastra inalava le narici di umidiccio e fradicio sapore marino.
Anche i cumuli di neve, riparati a nord, non resistevano più sebbene stanchi ed appoggiati tra la terra e le mura dei caseggiati, a quella mite e dolente aria oceanica. Era una vera disfatta. Tutto quel turbinio bianco era ormai preda della mitezza del clima. Le nubi stesse avevano assunto ben altre forme. Non si presentavano più “lattiginose” e spesso mostravano le loro “pance” color nero grafite come se fossero scarabocchiate su un bianco foglio di carta vergine.
Il ragazzo si sentiva ormai perso e beffato da quella nube bianca che lo aveva fatto gioire di grande felicità.
I carri, portati da pesanti cavali, non facevano altro che accelerare questa “ignobile” decadenza mentre l’acqua, dovuta al repentino disgelo, formava dei piccoli torrenti che correvano rapidi lungo la sponda occidentale del fiume.
Ma William non si riteneva rassegnato e, in cuor suo, pensava che la natura aveva giocato un ruolo assolutamente deridente. Ma cosa fare? Le situazione avevano assunto quella brutta e “puzzolente” piega…. Forse attendere il prossimo inverno per banchettare ancora?
Le stesse sculture di cristallo gelido, appese ai tetti delle case, piangevano come un ragazzo sconsolato e colpivano quello che restava del bianco manto come lame di coltello nel corpo.
Passarono dei giorni, ed ancora dei giorni, ma quel maledetto sbuffo oceanico non si toglieva e non allentava certo la morsa. La stessa piazza, centro delle attività mercantili e che una volta era vestita di bianco zibellino, ora era un agglomerato di macerie di detriti e terra nera.
Non rinuncerò mai al mio inverno, il ragazzo ripeteva in cuor suo, ed aspetterò guardando “l’eterno” con il naso sempre rivolto al cielo; con il volto sempre schiacciato verso quella finestra e con gli occhi ritorti sempre verso quella penosa fila di lampioni a petrolio.