Nulla di eccezionale, ma il Sole in bianco del 14 agosto desta comunque curiosità e forse chiude un’epoca. In un ciclo 24 che si sta sviluppando secondo quella che viene ritenuta la normalità, in netto contrasto coi cicli molto intensi dei decenni precedenti, la possibilità che si presentino spotless days anche a 3-4 anni dall’avvio non è statisticamente irrilevante. Lo si può constatare risalendo al ciclo 16: partito nell’agosto 1923, registrò l’ultimo giorno senza macchie il 18 luglio 1926. Un lasso temporale di 35 mesi, più o meno raffrontabile ai 32 mesi del ciclo attuale, il cui esordio data al dicembre 2008. Basterebbe invece risalire al ciclo 14 (iniziato nel febbraio 1902), per ritrovare l’ultimo spotless day addirittura a 56 mesi di distanza (27 ottobre 1906) e di appena 17 mesi antecedente il primo spotless day della transizione fra i cicli 14/15 (26 marzo 1908). Tuttavia, il Sole senza macchie si presenta a questa fase del ciclo per la prima volta dopo 85 anni, ponendo termine in modo forse definitivo al Modern grand maximum, manifestatosi attorno al 1940, a circa 2400 anni di distanza dall’ultimo episodio che le ricerche più accreditate hanno finora individuato (Usoskin, p. 51).
Detto questo, e aggiunto che l’evento del 14 agosto, se sarà ufficializzato dalle revisioni mensile e trimestrale del SIDC (Solar Influences Data Analysis Center), porterà il totale della transizione fra i cicli 23/24 a 817 spotless days, va rimarcato come siano molti gli indici che attestano la tranquillità dell’attuale evoluzione dell’attività solare rispetto ai decenni precedenti. A titolo d’esempio è sorprendente, ma solo se il raffronto si limita ai cicli più recenti, che finora si sia registrato un solo giorno in cui il conteggio delle macchie abbia toccato quota 100 (l’8 marzo di quest’anno); se si guarda ai primi 32 mesi del ciclo 23 (avvio nel maggio 1996), si può constatare come fossero già stati registrati 50 giorni oltre tale soglia, con un picco di 138 sunspot number il 22 settembre 1998.
Questo rientro nella normalità, che alcuni estremisti della componente solare ritengono invece il preludio a un nuovo Minimo di Maunder (i blog americani d’argomento sono zeppi di ipotesi fantasiose), fa discutere circa le ricadute che potrebbe avere sul clima terrestre. Essendo noto come la differenza di energia irradiata nei periodi di minimo e massimo solare sia piuttosto trascurabile per poter determinare grandi cambiamenti climatici, ci si domanda se non esistano componenti spaziali più complesse, o non ancora del tutto comprese, che interagiscano con l’atmosfera terrestre. Il vento solare, per esempio, ha una velocità media di 450 km/s e una densità protonica pari a 7 per cm cubo; in questo ciclo 24 però, i valori rimangono spesso inferiori al riferimento, con la densità che, in alcuni casi, crolla a 0. È quindi argomento aperto se il cosiddetto riscaldamento globale dipenda dalla componente solare o da altre cause. Se fosse vera la prima ipotesi (Sole), e dato che alcuni precursori lasciano intravedere la possibilità d’un ciclo 25 piuttosto debole, è possibile che il clima terrestre nei prossimi tre decenni vada incontro a un raffreddamento, che riporterebbe le temperature ai livelli della seconda metà del XIX secolo.
Bibliografia:
I.G. Usoskin, A History of Solar Activity over Millennia, «Living Reviews in Solar Physics», a. 5, n. 3 (2008).