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Scusi, che vento farà domani? (II parte)

di Francesco Aliprandi
08 Dic 2010 - 14:27
in Senza categoria
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Il fenomeno dello scaccianeve è tipico delle creste montane ed è una dimostrazione visiva dei forti venti che spirano spesso sui crinali, che per questo sono tra i luoghi deputati all'installazione di impianti eolici. Foto di Stefano Zerauschek.
L’argomento di questa seconda parte sono le previsioni di breve termine, definite per un orizzonte temporale che va dalle 9 alle 48-72 ore, che sono le più importanti in un’ottica economica; quelle a brevissimo termine – da 3 a 9 ore – possono al momento avvantaggiarsi molto poco dei modelli meteorologici e si basano principalmente su metodi statistici di tipo autoregressivo a media mobile, mentre quelle a medio termine rivestono interesse per l’organizzazione delle operazioni di manutenzione di centrali e linee elettriche.

Prendendo in esame una rete di dimensione nazionale, i passi da seguire per arrivare ad una stima della produzione elettrica prevedono per prima cosa l’utilizzo di un modello meteorologico per ricavare la velocità del vento ad un’altezza stabilita, poi di un sistema per la conversione di questo dato in una potenza, e infine l’estensione di questo risultato – ottenuto in alcuni punti geografici opportunamente scelti – all’intera rete in esame. La caratteristica principale del primo passaggio è quella di essere computazionalmente molto impegnativo rispetto agli altri due: tipicamente sono necessarie ore per ottenere un output dai modelli numerici di previsione (Numerical Weather Prediction), mentre i passaggi seguenti necessitano di minuti.

Lo sfasamento temporale complessivo delle previsioni è però molto maggiore del solo tempo di calcolo, in parte a causa del limitato numero di run dei modelli – da 2 a 4 al giorno – ma soprattutto perché il gestore della rete elettrica necessita di un congruo anticipo per l’organizzazione dei carichi, e impone limiti di tempo entro i quali deve terminare la raccolta di informazioni sulla produzione di energia. Solitamente le previsioni per il cosiddetto “mercato del giorno prima” riferito alla giornata di domani devono essere pronte entro le 12.00 di oggi, e quindi avremo già 36 ore di distanza; se ammettiamo che il modello meteorologico sia partito a mezzanotte (ma con dati di partenza ancora più vecchi), arriviamo a 48 ore circa, che in caso di week end raddoppiano raggiungendo le 96.

I risultati ottenuti su scala globale possono successivamente essere usati come input per i LAM a scala ridotta (WRF, RAMS, MM5 e HIRLAM solo per citare alcuni fra i più usati), nei quali si tengono conto delle caratteristiche quali topografia, stato del terreno e presenza di vegetazione su una griglia di calcolo più fitta rispetto ai modelli globali; i LAM lavorano su più livelli nidificati, ma il tempo di calcolo è determinato dalla maglia a dimensione minore ed è dell’ordine di un centinaio di minuti. Alcuni dei modelli dispongono di opzioni (switch) che permettono la scelta del metodo numerico per la risoluzione delle equazioni o l’uso di un particolare schema fisico fra varie opzioni presenti, come per la convezione e la radiazione su onde corte e lunghe; è richiesto quindi un certo grado di conoscenza della letteratura meteorologica per sfruttarli al meglio, tuttavia un piccolo gruppo di persone è in grado in poche settimane di ottenere un sistema funzionante.

Una volta ottenute velocità e direzione del vento bisogna ricavare la potenza, seguendo un approccio di tipo fisico oppure statistico. Nel primo caso si ricorre a programmi che tengono conto degli effetti di schermatura e delle caratteristiche degli aerogeneratori (ad esempio WAsP); in alternativa si ricorre a sistemi basati su reti neurali (NNs) o logica fuzzy, il cui vantaggio è che sono in grado di migliorare l’output in base ai risultati pregressi, ma necessitano al contempo di una base dati di partenza ampia e di una fase di addestramento. L’ultimo passaggio consiste nel calcolare la capacità di produzione di un’intera rete, cosa che si può ottenere o in modo diretto per ogni wind farm – con un metodo di forza bruta che però è spesso troppo gravoso per la capacità degli elaboratori – oppure calcolando in modo indiretto il totale a partire da un certo numero di parchi eolici di riferimento ed estendendo i risultati con metodi statistici all’intera rete.

Il motivo per il quale una buona previsione è importante si comprende osservando l’andamento tipico della potenza prodotta da una turbina al variare della velocità del vento. Al di sotto di un certo limite – in genere attorno ai 3 m/s – non si ha alcuna produzione, poiché la spinta sulle pale esercitata dall’aria è troppo bassa, mentre oltre i 15 m/s la produzione è stabile e pari al valore nominale della macchina (fino a circa 25 m/s, oltre i quali l’aerogeneratore viene arrestato); eventuali errori in questi intervalli non hanno alcuna ripercussione. Nel tratto centrale invece la produzione dipende da una legge fortemente non lineare (varia con il cubo della velocità) e quindi anche piccole imprecisioni possono comportare l’applicazione di pesanti penali economiche che vanno pagate sia per sottostime sia per sovrastime. E’ interessante notare che una situazione critica si verifica quando si è molto vicini al limite superiore di funzionamento delle turbine, perché oltrepassandolo si producono improvvise cadute di erogazione derivanti dalla messa in sicurezza del generatore.

Il risultato finale di un modello consiste sostanzialmente in una cifra ben precisa che rappresenta una stima della potenza che verrà prodotta. Recentemente gli sforzi della ricerca si concentrano sulla possibilità di ottenere anche degli scenari probabilistici, cioè di fornire degli intervalli di confidenza al valore puntuale; questo tipo di analisi diverrà sempre più importante all’aumentare della percentuale di penetrazione dell’energia elettrica prodotta dall’eolico sul totale.

Un breve cenno merita infine l’accuratezza dei modelli odierni. Le variabili da considerare sono numerose: disposizione geografica della wind farm, numero delle stesse (per previsioni regionali), orizzonte temporale preso in esame, ma in linea di massima è possibile restare all’interno di una banda -5/+5% per oltre il 90% delle situazioni. Gli errori più frequenti dipendono non tanto da stime scorrette della velocità del vento in relazione ad un preciso stato termodinamico, quanto da errori di sfasamento temporale associati a cambi della circolazione atmosferica; in quest’ambito la ricerca meteorologica ha spazi per notevoli miglioramenti.

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