Focalizzando l’attenzione sui bruschi ritorni d’inverno in piena primavera, l’ondata di freddo e neve per antonomasia fu quella dell’aprile 1991, quando l’Italia venne “trafitta” da un nocciolo d’aria gelida artica che portò un vivace scombussolamento meteorologico, con associati fenomeni temporaleschi. Il trapasso dell’aria gelida favorì nevicate su buona parte della Val Padana, più abbondanti sul Basso Piemonte e su tutta la pedemontana emiliana fra il 17 ed il 18 aprile, a seguito di un apporto di correnti più umide e produttive da est. La neve imbiancò in modo significativo anche Torino e Milano, nell’ambito di una stagione invernale che non era stato affatto generosa in fatto di episodi nevosi (anche se ci furono eventi storici a dicembre del 1990 su Cuneo ed a febbraio 1991 su Rimini). Ben 20 centimetri caddero a Bologna, ma fu un evento eccezionale anche per l’Appennino centrale, dove si registrarono straordinari accumuli nevosi.
Le nevicate primaverili hanno una caratteristica speciale, che porta in qualche circostanza a fenomenologia sensazionale, con la neve che viene giù in abbondanza sotto forma di intensi rovesci: nel caso dell’ondata nevosa del 17 aprile 1991 furono proprio le intense precipitazioni a favorire il crollo termico, tanto che nell’arco di poche ore la colonnina di mercurio crollò di 10-15 gradi sulle aree di pianura. Si passò quindi nello stesso giorno da un clima normale da piena primavera al pieno inverno, sotto l’imperversare di temporali a metà giornata e la pioggia che si trasformò poi in neve durante la sera. Il maggiore soleggiamento presente ad aprile ed i contrasti feroci con le discese fredde artiche hanno infatti il pregio di rinvigorire non poco le fasi perturbate: in pratica, si riesce ad ottenere il massimo da configurazioni bariche che in pieno inverno mostrerebbero poca propensione all’attivazione di fenomeni significativi.