Gli interventi generali e prioritari che riguardano le strategie di mitigazione sono tutti contenuti nel protocollo di Kyoto. Il Protocollo di Kyoto, che è l’atto formale di attuazione della Convenzione qudro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (sigla: UNFCCC), definisce, infatti, in dettaglio obiettivi operativi, tempi ed obblighi di riduzione delle principali emissioni di gas serra nella misura complessiva del 5.2% da attuarsi al 2010 (periodo 2008-2012) rispetto al 1990. Il Protocollo di Kyoto stabilisce anche gli strumenti di attuazione e le modalità attuative. Pur essendo stato sottoscritto nel 1997, il Protocollo è stato oggetto di lunghe controversie, che ne hanno impedito le ratifiche necessarie per l’entrata in vigore, oltre alcune defezioni come quella degli Stati Uniti e dell’Australia. Solo nelle ultime sessioni negoziali di Marrakesh (novembre 2001) e di Nuova Delhi (novembre 2002) si è trovato un accordo per poterlo attuare. Nella prossima sessione negoziale di Roma del dicembre 2003, si potrà finalmente dare il via alla attuazione operativa del Protocollo, sempre che la Russia ratifichi nel frattempo, essendo questa l’ultima ratifica assolutamente indispensabile per raggiungere il “quorum” stabilito e farlo entrare legalmente in vigore (ndr: il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005).
Intanto che si discute e ci si mette d’accordo su come attuare la Convenzione UNFCC (dal 1992) ed in particolare su come rendere operativo il Protocollo di Kyoto (dal 1997), le emissioni sia dei Paesi industrializzati, sia quelle mondiali, sono andate via via aumentando sempre più.
Infatti, secondo l’ultima relazione del Segretariato UNFCC, presentato a Bonn nelle scorso mese di giugno (Report UNFCC/SB!/2003/7), i Paesi industrializzati, rispetto al 1990, stanno aumentando mediamente le loro emissioni (con punte di circa il 20% in alcuni casi), tanto che con gli attuali andamenti fra il 2000 ed il 2010 (anno di riferimento per l’attuazione del protocollo di Kyoto) le loro emissioni cresceranno di circa il 17%. I Paesi ad economia in transizione (est europeo), che partecipano assieme ai paesi industrializzati all’attuazione del Protocollo, viceversa, sono in difficoltà di crescita economica, se non addirittura in condizioni di recessione, e le loro emissioni di gas serra, quindi, sono in continua diminuzione. Ma queste minori emissioni compenseranno solo in parte la crescita delle emissioni dei maggiori Paesi industrializzati, tanto che, sulla globalità dei Paesi a cui è diretto il protocollo di Kyoto (Paesi industrializzati e Paesi ad economia in transizione), gli attuali andamenti fanno prevedere che al 2010 le emissioni complessive non saranno ridotte del 5.2% ma saranno aumentate di circa il 10%, una crescita che va esattamente in direzione opposta alla riduzione richiesta da Kyoto.
In questo contesto, il Protocollo di Kyoto non sembra in grado di risolvere nella sostanza i problemi dei cambiamenti climatici di origine antropica, anche se esso, dopo gli ultimi accordi sulla sua attuazione, rappresenta un successo politico ed un primo passo di cooperazione mondiale per la soluzione di tale problema.
La principale difficoltà di negoziazione e di attuazione del Protocollo di Kyoto appare essere quella di interferire con le questioni di sviluppo mondiale sia dei paesi industrializzati sia dei paesi in via di sviluppo, le cui economie, come noto sono basate prevalentemente sulla produzione, uso e commercializzazione di energia da combustibili fossili, per i quali non esistono attualmente alternative realmente sostitutive, ma solo di tipo integrativo. Di conseguenza, l’obiettivo principale dei politici è stato focalizzato su una infinità di regole e di complesse procedure, che, di fatto, hanno in qualche modo trasformato il Protocollo in un trattato simbolico piuttosto che in un trattato per la soluzione di un problema.
Allo stato attuale, il protocollo di Kyoto non può essere considerato, per quanto riguarda i cambiamenti climatici, come il punto di arrivo finale di una complessa negoziazione internazionale che è partita nel 1992, né tanto meno come la soluzione del problema della riduzione delle cause antropogeniche che modificano il clima: infatti, come affermato da IPCC (IPCC-TAR 2001), sarebbero necessarie riduzioni del 50-60% delle emissioni antropogeniche di gas serra per riportare il sistema climatico al suo equilibrio: ma, il protocollo di Kyoto non può essere considerato neanche la soluzione del problema della minimizzazione degli impatti negativi conseguenti ai cambiamenti climatici o la soluzione di quelle che dovrebbero essere le azioni di adattamento ai cambiamenti del clima.
Il Protocollo di Kyoto, quando entrerà in vigore, sarà solo un primo timidissimo passo affinché le concentrazioni in aria di gas di serra (e non le emissioni) possano essere in futuro stabilizzate ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze con il sistema climatico. La Convenzione UNFCC, di cui il Protocollo di Kyoto è l’atto formale esecutivo, non si preoccupa tanto dell’entità dei cambiamenti del clima, quanto piuttosto della velocità con cui questi cambiamenti stanno avvenendo e avverranno.
La Convenzione UNFCCC chiede, infatti, che la velocità dei cambiamenti climatici venga rallentata al massimo, e prescrive testualmente che il livello di stabilizzazione delle concentrazioni in aria di gas serra (e non delle emissioni) deve essere raggiunto in un periodo di tempo sufficiente da permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente, ma tale anche da assicurare che la produzione alimentare non subisca gravi problemi e da permettere che lo sviluppo socio economico umano possa procedere in modo sostenibile.
Anche in Italia è stata posta e continua a porsi, molta enfasi sul problema della “mitigazione”, cioè della riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas di serra di cui si occupa più specificamente il Protocollo di Kyoto, riduzione che però è difficilmente perseguibile entro la struttura del nostro sistema economico e produttivo. Infatti, nonostantre l’enfasi alla mitigazione, l’Italia, secondo l’ultimo censimento effettuato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA 2003, Report 95) aveava aumentato al 2001 le sue emissioni del 7.2%, rispetto al 1990, avendo, invece, assunto l’impegno di riduzione del 6.5%. Ciò significa che per attuare il protocollo di Kyoto, l’Italia dovrà ora ridurre le proprie emissioni di ben il 13,7% entro il 2010.
Pe superare la difficoltà di rispettare i propri impegni di attuazione, l’Italia dovrà ricorrere necessariamente ad alcune alternative valide ed efficaci però sul breve periodo, ma non certamente sul lungo, quali l’aumento dei cosiddetti “sinks” (forestazione, riforestazione, cambiamenti dell’uso del suolo, ecc) e concomitanti azioni di cooperazione internazionale, nell’ambito dei cosiddetti “meccanimi flessibili” per acquisire “crediti alle emissioni” o acquistare “quote di emissione” dall’estero. Ma le difficoltà italiane non sono una eccezione, ma sono una realtà comune a molti paesi industrializzati soprattutto per quelli il cui sviluppo dipende fortemente dai combustibili fossili.
Quantunque la strada dell’attuazione del protocollo di Kyoto nella sua forma attuale vada tenacemente perseguita, quanto meno per rallentare i cambiamenti del clima e avere tempo sufficiente per prepararsi all’adattamento, nel frattempo sarà necessario guardare oltre Kyoto con investimenti significativi nella ricerca scientifica e tecnologica per mettere a punto e rendere operativi i nuovi modi di produrre energia e di utilizzare energia. Una interessante prospettiva in tal senso viene offerta dal vettore idrogeno e l’uso di celle a combustibile, ma anche dall’utilizzazione dell’energia solare attraverso l’uso di fluidi ad alta temperatura.
Prof. Vincenzo Ferrara, ENEA
Altre parti della relazione
Il clima che cambia e le strategie internazionali dell’ONU: https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=15041
Il clima che cambia in Italia e i problemi che si pongono:
https://www.meteogiornale.it/news/read.php?id=15058