Oltre le più pessimistiche previsioni. I dati definitivi sulla vendemmia 2012 si attestano a 39,3 milioni di ettolitri. «È la più scarsa dal 1950 – ha commentato Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi – dobbiamo infatti risalire al 1947 per trovarne una più povera. Va detto comunque che in quegli anni la superficie vitata era circa doppia dell’attuale».
È stata la soffocante stagione estiva a inibire il pieno sviluppo delle uve italiane, ma le vicenda climatiche hanno avuto riflessi negativi anche altrove: «Secondo l’Union internationale des oenologues – continua Martelli – in Francia e Spagna si prevede una produzione inferiore del 15 per cento sul 2011, con punte del 40 per cento. A differenza nostra, in particolare in Francia, il calo non è dovuto solo al caldo, ma anche alle abbondanti piogge primaverili, che hanno inciso sulla fioritura. E pure nei Paesi dell’est Europa la produzione risulta sotto media, con decrementi diversi secondo gli stati».
L’andamento climatico, insomma, ha fortemente condizionato il comparto agricolo, specie nel settore che rappresenta il fiore all’occhiello dell’export italiano. Come spiegato in precedenti servizi (si veda il link in calce), Assoenologi si è occupata dei legami tra riscaldamento globale e vite nel suo ultimo congresso, svoltosi il 3-7 giugno. Il docente Luigi Mariani, docente di agrometeorologia all’Università di Milano, pur senza disconoscere il problema, aveva ricordato come già Lucio Giunio Moderato Columella (4-70 d.C.), nel ‘De re rustica’ contestasse «chi sosteneva che il clima non era più quello d’un tempo». Inoltre, pur constatando che, a livello mondiale, le temperature sono ferme dal 1998, Mariani aveva aggiunto che «in Europa stanno ancora aumentando».
E in Italia? Dopo la discontinuità registrata negli anni successivi al 1987, nel XXI secolo la fase vegetativa (marzo – agosto) nel suo complesso non avrebbe subito ulteriori modifiche. A supporto, Mariani ha elaborato la seguente carta barica alla quota assoluta di 850 hPa relativa al 2004-’11 che, se confrontata con quella del 1988-2003 già pubblicata, non presenta ulteriori spostamenti verso nord dell’isoipsa 149 dam:
«Da ciò – dice Mariani – si può a mio avviso dedurre che dopo il 2003 non vi sono esasperazioni e che dunque, dopo il 1987, siamo in una fase nuova e omogenea».
Il dibattito, durante il congresso di giugno, ha evidenziato opposte linee di pensiero: quella dell’enologo Riccardo Cotarella, secondo il quale il processo di riscaldamento climatico è irreversibile e destinato a esasperarsi; e quella, invece, di Mariani, che riconosce come plausibili, e quindi in attesa di essere dimostrate, sia la teoria delle cause antropiche, sia quella legata ai cicli solari. Riguardo quest’ultima, molto è stato scritto in coincidenza con la debolezza del ciclo 24, iniziato nel dicembre 2008. L’ipotesi è che la componente solare possa giocare un ruolo primario nella modulazione della temperatura terrestre, secondo processi non ancora conosciuti. Scartata infatti l’influenza della Tsi (Total solar irradiance), per l’irrisoria differenza tra fasi di minimo e di massimo, si è notato che la frazione con la maggior variazione è quella ultravioletta, implicata nella sintesi dell’ozono stratosferico. La reazione di rottura e ricomposizione delle molecole di ossigeno è di carattere esotermico, e ha per risultato un riscaldamento della stratosfera, di cui è indice il gradiente termico positivo che si incontra a circa 35 km di quota. L’idea è che una riduzione della frazione ultravioletta indotta da una minore attività solare, abbassando la produzione di ozono, raffredderebbe la stratosfera, rendendola così instabile, con ripercussione sulle correnti zonali e sul vortice polare. Al di là di come stiano effettivamente le cose, val la pena soffermarsi sull’immagine seguente, che mette a confronto lo stato attuale del ciclo 24 (linea blu) col ciclo 5 (1798-1810), primo del Minimo di Dalton, una fase di debolezza solare che caratterizzò l’inizio del XIX secolo e coincise con l’apice della Piccola età glaciale.