Siamo nel pieno del cosiddetto cambio di stagione, che non è altro che quel periodo di transizione fra il semestre freddo e quello caldo. I forti temporali, spesso con grandine, sono una caratteristica peculiare del periodo da marzo a settembre, quando la maggiore energia a disposizione è strettamente legata al riscaldamento diurno. Fatte queste doverose premesse, appare già piuttosto intuitivo comprendere i motivi per i quali la stagione dei temporali inizia in primavera sulle regioni del Nord Italia ed in genere sull’Europa Continentale. Un temporale si scatena quando vi è la presenza di un particolare tipo di nube, il famoso cumulonembo, la cui genesi dipende da diversi fattori. Anzitutto, è necessaria molta energia e quella di cui si alimenta il temporale è derivante dalla presenza anche soprattutto di un elevato tasso d’umidità (vapore acqueo) nei primi 1000 metri d’altezza dal suolo. Ricordiamo che molto vapore acqueo nei bassi strati si può avere solo in presenza di temperature elevate e questo accade poiché la quantità di vapore acqueo, contenuto in un certo volume d’aria a parità di umidità relativa, cresce in maniera proporzionale all’aumento della temperatura. Per semplificare il discorso, poniamo di avere il 50% d’umidità relativa rispettivamente con una temperatura al suolo di 10 gradi e con una temperatura al suolo di 30 gradi: nel primo caso, il volume d’aria è in grado di contenere circa 4 gradi di vapore acqueo per metro cubo, mentre nel secondo caso l’umidità contenuta arriva a ben 15 grammi per metro cubo. Un altro fattore che concorre alla formazione del temporale è legato alla presenza d’aria molto fredda nella media troposfera (dai 3000 metri d’altezza), la quale stimola ulteriormente la salita della massa d’aria carica d’energia che risiede in vicinanza del suolo, consentendo così la condensazione del vapore acqueo e la conseguente “liberazione” dell’energia in esso contenuta.
All’interno della nube temporalesca, la formazione di gocce d’acqua e cristalli di ghiaccio, assieme ai forti venti, inducono la separazione delle cariche elettriche presenti nell’aria: alla base della nube si concentrano le cariche negative, mentre al suolo e alla sommità della nube si concentrano le cariche positive. Quando l’eccesso di cariche genera un campo elettrico talmente forte da ionizzare l’aria, allora si hanno delle scariche d’elettricità, che noi comunemente chiamiamo fulmini. Principalmente, alle medie latitudini, l’instabilità troposferica diviene particolarmente accentuata quando abbiamo l’azione combinata di un forte riscaldamento solare del terreno (suolo) con associate notevoli quantità di vapore acqueo nei bassi strati. In queste condizioni, correnti d’aria ascendenti iniziano infatti a trasportare l’aria più tiepida (leggera) dalla bassa troposfera verso l’alto: l’aria in risalita si espande per via della diminuzione della pressione atmosferica (si perde circa 1 hPa ogni 7-8 metri d’altezza), si raffredda fino a giungere al livello di condensazione del vapore in goccioline d’acqua, alla base della formazione delle nubi che poi degenerano in precipitazione. Nel passaggio di stato da vapore a liquido avviene la liberazione del cosiddetto “calore latente”, il quale è un importante processo termodinamico che costituisce a tutti gli effetti l’energia a disposizione del temporale. In conclusione, nel semestre caldo grazie al forte riscaldamento dei bassi strati atmosferici, l’instabilità dell’aria è più frequente rispetto ai mesi freddi: di conseguenza alle medie latitudini i temporali sono prevalentemente un fenomeno estivo e pomeridiano. Come precisazione finale, ricordiamo tuttavia che una gran parte dei temporali che agiscono nel semestre caldo rientrano all’interno dei temporali di calore, ma esistono anche i temporali orografici e quelli cosiddetti frontali, cioè legati all’irruzione di un sistema perturbato.