Sono allibito che un uragano che ha gradualmente poi perso forza, abbia seminato morte e distruzione come solo nelle tremende tempeste di inizio secolo avveniva.
La prevenzione, i servizi meteo più efficienti del Mondo, tutto quello che è il fiore all’occhiello nella macchina dei soccorsi del nostro Pianeta era li, eppure si è morti annegati, la grande città è inondata.
E’ il loro tsunami, la loro Hiroshima, così leggo sui giornali on-line, in questo pomeriggio, ultimo scampolo di agosto.
Agosto 2005, Katrina sarà ricordata come un grande e cattivo uragano, ma anche come una sconfitta della civiltà del progresso, anche se va detto che senza prevenzione, poteva andare molto, ma molto peggio.
Galveston, 8 settembre 1900, la città fu rasa al suolo dall’uragano, ma allora nessun satellite fotografò il suo occhio segreto. Si hanno solo stime della sua violenza devastante.
Era il 23 settembre 1815, poi ancora il 21 settembre 1938 quando l’onda di tempesta si abbatte sulle coste del popoloso nordest americano, furono investite le spiagge di New York. L’uragano colpì anche la città della grande mela.
Gli USA non sono nuovi agli eventi estremi, l’ho segnalato in altre circostanze. Fanno paura le famiglie di tornado, le tragiche grandinate, le terrificanti tempeste di neve, che in poche ore fanno abbassare la temperatura di oltre 20°C e gelano i fiumi, seppelliscono le automobili in autostrada.
Inverno 1976/77, Buffalo, stato di New York: la città fu investita da 40 giorni ininterrotti di tempeste, alla fine si accumularono al suolo metri di neve. Le autostrade cittadine furono seppellite dalla neve, con loro le auto durante una tormenta.
America, dove si aspetta il Big One, il terremoto dei terremoti della costa ovest. Nella cinematografia sembra tutto risolvibile: dal grande meteorite che sta per cadere sulla Terra, ai terremoti, alle devastazioni. Si ha la sensazione parecchio artificiale che siamo protetti dalla tecnologia, ma forse è solo un’illusione, è un film a lieto fine, la vita è ben diversa.
Si parla, si scrive, ma quando vedo le scene di New Orleans ottengo un’efficace risposta alla vulnerabilità del sistema, dove qualcosa non ha funzionato, dove l’uomo ha forse osato troppo contro la natura, ereggendo una città sotto il livello marino, in prossimità del Mississipi, notoriamente un fiume cattivo, alluvionale, che si tuffa nel mare figlio degli uragani.
Senza prevenzione, senza le allerte, senza che le autorità americane avessero ordinato agli abitanti “scappate via”, i morti sarebbero stati migliaia e migliaia, come succede nei Paesi poveri del Pianeta ogni anno, senza show, senza che io e voi lo sappiate.
Uno sguardo va al Golfo del Benagala, all’India, ma non solo.
Però ritorno a pensare a questa città americana costruita sotto il livello del mare in una regione dal clima così esposto.
Ed in Europa? Ampie zone della Val Padana sono sotto il livello dei fiumi. Gli olandesi con migliaia di chilometri quadrati strappati al mare, quel 1° febbraio 1953, al transito di una fortissima tempesta che aprì una falla in una diga furono investiti da un disastro: 200.000 ettari terra furono inondati, annegarono 1800 persone.
Dal punto di vista meteorologico, quelli menzionati sono evento estremi, di rilevanza storica, come lo può essere un terremoto, uno tsunami. Tante regioni e città del nostro Pianeta sono esposte alle intemperie, ma New Orleans fa impressione perché è successo in America.